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Di fronte alla tragedia del Mediterraneo e dell’immigrazione il sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà mette le mani avanti. Lo fa con equilibrio tenendo alta la dignità di una città disponibile a praticare sempre la solidarietà, un sentimento depositato nel fondo della propria esperienza tragica. Niente retorica, niente speculazioni e/o rivendicazioni. Ma si faccia quello che va fatto per affrontare un problema senza provocare guasti devastanti e per non regalare i pezzi più deboli della città all'indignazione feroce dei soliti furbi.
Lo fa con una bella intervista firmata da Giuseppe Baldessarro, giornalista reggino di Repubblica, da dove il sindaco più che parlare alla sua città “chiede” all’Italia e all’Europa. Il quadro che tratteggia è lucido: abbiamo fatto tutto quel che potevamo. Ma non chiudiamo la porta. Siamo ancora qui per impegnarci ancora a tempo pieno se il paese e tutti gli altri fanno la propria parte fornendoci tutti gli strumenti per fare la nostra. Il nostro giornale la ripropone giudicandola un bel documento della civiltà reggina. (redazzoom)
Di GIUSEPPE BALDESSARRO - «Questa storia dei migranti non la reggiamo. E' una bomba che può esploderci tra le mani in qualsiasi momento. E ad affrontare l'emergenza siamo soli». Giuseppe Falcomatà, giovane sindaco di Reggio Calabria, esponente del Pd, è stimato dai suoi concittadini anche per la pacatezza delle sue prese di posizione. Ma stavolta alza la voce: «Se ne arrivano altri rischiamo il collasso».
Sindaco Falcomatà, cosa la preoccupa?
«In questi mesi abbiamo fatto tutto quello che si poteva e anche bene, ma qui le cose stanno cambiando. E io non posso mettere a rischio la tenuta del tessuto sociale della città».
In che senso?
«Nel 2014 sui nostri moli abbiamo accolto 17 mila migranti. Arrivavano, e dopo la prima accoglienza venivano distribuiti sul territorio nazionale. L'ultima volta però abbiamo dovuto far fronte all' emergenza sanitaria: dei 760 arrivati, la metà dei migranti aveva la scabbia. Sono rimasti qui per giorni e noi non abbiamo strutture d'accoglienza da utilizzare per il tempo necessario alla profilassi».
Nessuna?
«Nes-su-na. Abbiamo utilizzato un palazzetto dello sport, abbiamo chiesto aiuto ad un'associazione che ha messo a disposizione un tendone, poi la Capitaneria ci ha dato un vecchio edificio da usare per ospitare donne e bambini. Tutte soluzioni tampone. Stiamo occupando anche un campo di calcio con una tendopoli, ma di più non possiamo fare. Basta così».
La Prefettura che vi dice?
«Ci convoca al tavolo dell'emergenza e ci chiede di trovare e attrezzare strutture che la città però non ha. Il bilancio comunale poi è al collasso peri debiti ereditati. In questo momento non possiamo spendere un solo euro e tra l'altro per realizzare strutture di prima accoglienza ci vuole anche tempo. Non ho soluzioni, siamo soli e impotenti».
E le altre istituzioni?
«Quali? Qui tutti parlano e siedono ai tavoli. Poi il cerino resta in mano a noi e nessuno si fa avanti per trovare soluzioni pratiche. Sarà anche un'operazione europea, ma a me pare un po' troppo gestita all'italiana. C'è una disorganizzazione incredibile».
E siamo solo all'inizio di una stagione che si annuncia lunga.
«Appunto. La scorsa settimana abbiamo accolto 1500 migranti e siamo arrivati al limite. Figuriamoci nei prossimi mesi».
Siete in preallarme?
«Qui si ipotizza uno sbarco ogni due giorni. Per noi è impossibile sostenere flussi del genere. E io non sono disposto a mettere a rischio la serenità della collettività in una situazione complessiva già difficile sul piano economico e sociale».
Come se ne esce?
«Se è un'operazione che tutti vogliono, ognuno deve fare la sua parte. Siamo un’amministrazione seria, non abbiamo il lamento facile, siamo pronti a collaborare sempre con tutti. Ma non possiamo essere lasciati soli ad assumerci responsabilità più grandi di noi. Siamo una delle porte del Mediterraneo e chi arriva va accolto, ma non può essere solo un nostro compito».