di RICCARDO TRIPEPI
- Un colpo da ko, ma al contempo l’ultima occasione. L’inchiesta “Erga omnes” ha di fatto delegittimato la mini-giunta di Mario Oliverio, che ha già perso il dimissionario Nino De Gaetano, e vede indagati anche Carlo Guccione e Vincenzo Ciconte. E se è pur vero che gli accertamenti della magistratura riguardano periodi precedenti alla legislatura in corso, quando i controlli sulle spese dei gruppi erano molto più “leggeri”, è altrettanto vero che comunque pone con assoluta emergenza la questione morale sia nelle stanze dei bottoni del governo regionale, che all’interno del Pd.
Il governatore, dal canto suo, ha il dovere di assumersi le responsabilità di scelte autoritarie e spesso difficilmente comprensibili come quella di impuntarsi sul nome di Nino De Gaetano, dopo averlo escluso dalle liste per le regionali. Un uomo che il governatore ha voluto al suo fianco nonostante le sue questioni giudiziarie aperte (all’epoca si parlava di aiuti alle elezioni da parte del clan Tegano senza che il politico reggino fosse sotto indagini) e la ferma opposizione della corrente renziana. Una forzatura che lo ha esposto alla dura reazione dello stesso premier Renzi, del sottosegretario Delrio e ha provocato il rifiuto di Maria Carmela Lanzetta ad entrare nel suo esecutivo.
Anche il presidente del Consiglio regionale Tonino Scalzo è finito nel polverone. E anche su questo nome è forte lo zampino di Mario che ha scelto fra la rosa di nomi renziani che gli era stata sottoposta all’epoca per arrivare al presidente, quello che meno era gradito agli stessi renziani, specie a quelli reggini.
Insomma, nonostante Oliverio non sia in prima persona impelagato nell’inchiesta, pare evidente che abbia compiuto fin qui una serie di scelte forzate e sbagliate che hanno reso assai fiacca l’azione della giunta e indebolito la sua posizione all’interno del partito, come dimostrato anche dagli scontri feroci in tema di sanità sia con il commissario Massimo Scura, che con il governo nazionale. Oliverio, per di più, vede invischiato in questa brutta pagina della politica regionale anche quello che è stato fin qui il suo “consigliori” e lo ha seguito come un’ombra, quel Nicola Adamo che adesso è costretto a lasciare la Calabria.
Azzerato, annientato e al tappeto, Oliverio ha una sola via per risollevarsi. Sfruttar l’unica via di fuga possibile: cambiare radicalmente rotta sia dalla plancia di governatore che nella gestione dei rapporti del partito. Con una giunta praticamente azzerata e con la riforma dello Statuto pronta ad entrare in vigore, il governatore dovrebbe riuscire a fare quello che fino ad ora non ha fatto: scelte coraggiose e senza usare il Cencelli. Nomi autorevoli e competenti in grado di dare alla Calabria una speranza.
Per farlo ha bisogno che il partito sia al suo fianco e unito. Per arrivarci dovrà evitare di usare il potere come una clava per mortificare richieste ed esigenze della corrente a lui avversa, quella renziana, che in Calabria è minoranza. Poi, con una nuova squadra, dovrà viaggiare senza soste verso le riforme e il rilancio dell’economia non perdendo più neanche un euro di finanziamenti europei. Senza un simile slancio Oliverio è destinato a soccombere. O sotto il peso degli scandali o sotto una gestione comunque insufficiente a dare risposte ai calabresi. Tanto che l’alternativa più dignitosa ad un cambio di passo sarebbe quella di procedere a rapide dimissioni per dare ai calabresi la possibilità di scegliere un altro governo.
Al momento il governatore sembra soltanto sbigottito, almeno a giudicare dal laconico commento che, dopo lunghe ore di silenzio, ha affidato alla nota stampa pubblicata integralmente in altra parte del giornale dove fa sapere che appena verrà varato il nuovo statuto nominerà la nuova giunta.