Proprio nel momento in cui l'America cominciò a sentire l'esigenza di avere una propria voce, istintiva, con cui cantare se stessa, arrivò appunto Whitman.
”Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita”. Questa bellissima frase pronunciata nel film L’attimo fuggente dal prof. John Keating (interpretato da Robin Williams) non poteva non tornarmi in mente nel momento in cui ho avuto tra le mani il poema Foglie d’erba che, per la verità, avevo cercato soprattutto per rileggerne la magnifica prefazione di Giorgio Manganelli.
La vicenda poetica di Walt Whitman è paradigmatica della Storia Americana. Fino alla seconda metà dell’Ottocento, gli Stati Uniti non avevano ancora una poesia veramente autoctona, non avevano in sostanza un “poeta nazionale” degno di questo nome. Proprio nel momento in cui l’America cominciò a sentire l’esigenza di avere una propria voce, istintiva, con cui cantare se stessa, arrivò appunto Whitman, poeta di un unico libro, anzi di un vero e proprio poema epico, che in quel tempo ancora appariva come il genere più adatto a interpretare e fissare compiutamente la storia di una nazione; non a caso qualche critico è arrivato a parlare del poema come “prodotto dell’inconscio collettivo non meno che del singolo autore” o di “Bibbia democratica americana”.
Il tentativo di Whitman era piuttosto ambizioso, la sua idea, infatti, era di definire tutta una nazione e di “esprimere in forma letteraria o poetica, e senza compromessi, la mia propria persona fisica, emotiva, morale, intellettuale ed estetica, accordandola per mezzo dello spirito e dei fatti importanti dei suoi giorni immediati e dell’America attuale; svolgendo questa personalità, identificata nel tempo e nello spazio, in un senso molto più ingenuo e comprensivo che in qualunque libro o poema scritto sinora”.
In realtà la sua opera è l’incarnazione di fascinazioni tardoromantiche portate alle estreme conseguenze. Leaves of Grass, Foglie d’erba, fu un poema in itinere che vegetò e infittì fra le mani di Whitman; la prima edizione uscì nel 1855 e da quel momento, fino al 26 marzo 1892, giorno della sua morte, la sua storia personale e quella del poema furono una sola cosa. Il libro, al quale il poeta lavorò quindi per oltre metà della vita, comprendeva nella prima edizione pochissime poesie faticosamente elaborate. Uscì in ottocento copie, delle quali una sola fu venduta mentre le altre vennero distribuite a poeti, critici, amici e riviste letterarie; registrò più critiche che consensi ma Whitman non si arrese e avviò tutta una serie di revisioni e di inserimenti di nuovi capitoli producendo ben altre nove edizioni ognuna delle quali “accresciuta e corretta”, arrivando addirittura a modificarle anche in sede di ristampa. La quinta edizione del 1871 è quella che comprende Memories of President Lincoln con la celeberrima O Captain! My Captain!, la decima, ultima, è del 1892 ed è quella detta “del letto di morte”. In un’immaginaria rassegna della poesia universale nella quale ogni Paese fosse chiamato a presentare il suo poeta di riferimento, ritroveremmo dunque i versi di Whitman schierati al fianco di quelli di Dante, Goethe, Szymborska, Lorca, Baudelaire, Gibran, Majakovskij, Borges e Pessoa. Non renderemmo certo un buon servigio al povero Whitman poiché il suo poema non reggerebbe assolutamente il confronto con gli altri capolavori. Il suo motto “Sii semplice e chiaro, non essere occulto” è portato alle estreme conseguenze: il suo stile manifesta, infatti, una rozzezza di fondo, figlia della sua foga incontrollata e del suo infantile e didascalico entusiasmo marcatamente compilativo; l’utilizzo indiscriminato di slang, termini desueti e definizioni improbabili e il suo dispregio per la metrica, sono a mala pena suppliti dalla sua abilità oratoria e da qualche raro sprazzo di lirismo ispirato. Non a caso la lirica più conosciuta O Captain! My Captain!, resa celeberrima dal film L’attimo fuggente di Peter Weir, deriva la sua forza e la sua efficacia proprio dallo schema metrico e dai versi regolari e rimati che in genere Whitman non privilegiava. Eppure tra le pagine di Whitman sono nascoste delle perle preziose che non sono sfuggite al grande Giorgio Manganelli che definisce la sua poesia “estremamente e deliberatamente sviante; una poesia che sembra brulicare di idee ed anzi di raccomandarsi in grazia del frastuono di codeste idee, dell’ambigua generosità da comizio, della irritante fraternità dei vocativi, una sospetta eloquenza da predicatore itinerante…”. Con brevi incursioni tra le pagine, Manganelli segnala alcune “finezze ambigue, anche delicatamente puttanesche”. Questi versi sono un esempio: “O forse è il fazzoletto del Signore/un ricordo profumato lasciato cadere di proposito…”; il poeta, interrogato da un giovinetto su cosa sia mai l’erba, avanza l’ipotesi che sia una sorta di dono profumato lasciato cadere di proposito dal Signore per non farsi dimenticare. Mi ha molto incuriosito questa storia del fazzoletto profumato, mi ha fatto tornare in mente un elegante signore, si chiamava Mario Cundari, impiegato dell’agenzia giornalistica di mio padre, che soleva portare nella tasca dei pantaloni un fazzoletto intriso di profumo che non perdeva occasione di sfoderare per spargerne le buone essenze nell’ambiente di lavoro fumoso e polveroso di inchiostro dei giornali. Da un paio di versi nasce una suggestione o, per dirla con Manganelli, “un’istantanea meraviglia”. Emily Dickinson è stata una grande poetessa americana contemporanea di Whitman, lei del Massachusetts, lui dello stato di New York; meno amata dagli americani duri e puri e scoperta molti anni dopo la morte, ha lanciato involontariamente una ciambella di salvataggio all’opera di un poeta che da lei era lontano artisticamente anni luce: “Non c'è nessun vascello che, come un libro possa portarci in paesi lontani, né corsiere che superi al galoppo le pagine di una poesia. È questo un viaggio anche per il più povero, che non paga nulla, tanto semplice è la carrozza che trasporta l'anima umana”. Come dire che non esiste un libro che non contenga una perla, basta avere la costanza di cercarla. È evidente che la grandezza di Whitman risiede proprio nella semplicità e naturalezza con la quale, istintivamente, riusciva a esprimere le sue emozioni e i suoi aneliti di libertà; e questa sua caratteristica certamente contribuì a renderlo un mito soprattutto per le generazioni future. Lo “zio Walt” divenne un simbolo e i suoi versi guidarono il percorso “on the road” di tutti i poeti della Beat Generation, con in testa Allen Ginsberg che gli dedicò dei magnifici versi nel suo A Supermarket in California.
Walt Whitman, Foglie d’erba, BUR poesia Rizzoli, Milano 1988, pagg. 520.
Whitman, Poesie, Nuova Accademia, Milano 1965, pagg. 160.
Walt Whitman, O capitano mio capitano, Crocetti editore, Milano 1990, pagg. 96.