Tibi e Tascia, uscito nella collana "Narratori Italiani" di Mondadori nel 1959 e dopo di allora riapparso anche in edizioni scolastiche, è tornato ora a nuova vita grazie all'editore Rubbettino di Soveria Mannelli.
È uno dei libri più letti di Strati ed è ambientato in un paese della Calabria collinare e preaspromontana.
La storia è semplice, lineare, coinvolgente e si sviluppa dalla vigilia di Natale all'Epifania successiva del 1935, come si arguisce dai riferimenti interni alla campagna di guerra in Africa Orientale fatta dal regime fascista e alle conseguenti sanzioni imposte dalle Nazioni Unite
Protagonisti sono due ragazzi di circa dieci anni: Tibi, diminutivo di Tiberio, e Tascia, diminutivo di Teresa.
Tascia, protagonista indiscussa delle prime due parti del libro (capp. I – XXII), vive con i genitori (Gianni e Rosa) e con altri due fratelli: Rocco, che ha sedici anni ed aiuta nei lavori campestri, e Ciccio, un paio d'anni e non ancora svezzato, che durante il giorno è affidato dai genitori alla figlia grandicella perché loro sono assenti. La bimba è completamente analfabeta, è andata a scuola solo per tre giorni dopo i quali la sua inquietudine si è incrociata con il bisogno che avevano i genitori di una balia per il piccolo.
Tascia è una balia tutta particolare, sa dare al fratellino ciò di cui ha bisogno per non morire di fame, sta attenta a che non si faccia eccessivamente male, ma per il resto vive nella piazza e nelle viuzze del paese giocando, da mattina a sera, con i suoi coetanei, a noccioline (Nuciddhe)
Nel libro il gioco domina gli avvenimenti dall'inizio della novena di Natale fino a qualche giorno dopo.
In realtà si giocava fino all'Epifania. come recitava un detto popolarissimo tra i ragazzi: «Dopu a Befana sona u tamburu / cu ndavi nuciddhi s'i zicca nto culu».
Le «nuciddhe» erano un gioco per maschi ma Tascia è più brava di loro, è più accanita, vince sempre e si impone anche quando gli altri, proprio perché sempre vittoriosa, tenderebbero ad escluderla. E difende il frutto delle sue vittorie con le unghie, con i denti, e … con le sassate quando qualcuno dei «masculeddhi» cerca di fare il furbo: «Gli hai rotto la testa, ad Antonio. Lo sai? » «E lui perché ci ha rubato le nocciole? » …«Lo sai che ha fatto cadere tuo fratello dallo scalino?» «Quando l'incontro, gli fracasso la testa un'altra volta, disse Tascia a denti stretti. Gli occhi le scintillavano di rabbia. «Glielo insegno io se fa cadere mio fratello» (pp. 73.74)
Tascia fa anche commercio delle nocciole vinte tanto che con i proventi riesce a finanziare l'acquisto della sigaretta quotidiana che fuma il padre, le medicine ed anche a pagare qualche danno che ha combinato durante il giorno.
La ragazza ha anche altre mansioni da svolgere: dopo aver affidato il fratellino a qualche vicina, deve trasportare da una fonte extraurbana l'acqua necessaria per la casa usando un recipiente di terracotta che Strati chiama «bomboletto» traducendo dal corrispondente dialettale (bumbuleddhu); tutto il paese si rifornisce di acqua a quella fonte, anche la famiglia più ricca che, naturalmente, manda un servitore con la mula.
Il rifornimento e il trasporto dell'acqua (che le donne facevano tenendo in equilibrio sulla testa il recipiente) e l'occasionale rottura per le connesse distrazioni amorose, erano un vero e proprio luogo comune tanto da entrare nel testo della canzone d'amore calabra più bella e più diffusa: la Calabrisella.
Tascia infatti, oltre ad aver rotto con una sassata il bomboletto di Antonio, fracassa anche il suo a forza di inseguire le sue fantasie amorose: «Tascia era quasi ubriaca. "So anche ballare col bomboletto in testa!" e si mise a muovere le gambe, a mo' di ballo. Ma non si accorse di una buccia d'arancia che era per terra, vi mise il piede sopra e scivolò e l'orcetto si fracassò sulle pietre della strada» (p. 229)
Tibi, orfano di padre, ha undici anni (p. 220), e vive con la madre (Mariangela) che, per sopravvivere in mezzo a tante privazioni, ogni giorno si assenta da casa per andare a raccogliere le olive e per fare altri lavori di campagna.
Il ragazzo ha abbandonato la scuola dopo la terza elementare, perché la madre non disponeva dei soldi per libri e quaderni e per pagare la tessera del fascio, ma ne ha grande nostalgia perché è affascinato da coloro che sanno leggere e scrivere.
Sin dalle prime pagine del romanzo, fra Tibi e Tascia scoppia un simpatico idillio fatto di «società» nel gioco delle nocciole ma anche di scambi fantasiosi suscitate loro da una visione armonica della natura e dei suoi fenomeni: «Mi piacerebbe andare di monte in monte, per arrivare là dove va a dormire il sole.» «E tu credi che saresti capace di arrivare là dove va a dormire il sole?» «Camminando camminando ci arriverei … chissà quanto si divertono e quanto sono beati quei ragazzi che vivono la dove va a dormire il sole.» «Nel mare va a dormire il sole, e nel mare non ci sono ragazzi» giudicò Tascia. (pp. 54-55)
Se Tascia giganteggia nella prima parte del libro, nella seconda è Tibi a fare la parte del leone.
Per le feste di Natale torna in paese da Locri, dove fa il magistrato, Don Carmine fratello del medico Don Nicolino; entrambi sono figli, a loro volta, di Don Michele, signore anche lui e imparentato con altri nobili titolati.
La terza figlia di don Michele si chiama Donna Maria ed è nubile perché, accettando i veti del padre su un innamorato inadeguato al censo, prima ha rivendicato il suo diritto ad amare («Mi potete impedire di sposarlo, ma non di amarlo, o di pensarlo» p. 196, «Ed era certa di essere un'eroina» aggiunge lo scrittore) e poi a rifiutare qualsiasi e migliore partito le venisse offerto della «casta» cui apparteneva.
Dunque Tibi, per una ben congegnata strategia del narratore, si trova nel palazzo dei nobili ed entra nella simpatia di Don Michelino, figlio del magistrato e allievo di quarta ginnasiale, che vuole fare da benefattore a quel bimbetto scalzo e quasi ignudo ma dagli occhi ammalianti e dall'intelligenza che ha solo bisogno di essere coltivata.
E il miracolo si compie, assieme al voto che il povero contadinello aveva auspicato: «Se Dio mi dicesse,: "Ti do due cose da scegliere: tutte le ricchezze che vorrai e l'intelligenza di sapere molte cose e di poter scrivere e studiare a tua volontà. Tu che scegli?. Io gli direi che vorrei saper scrivere e poter studiare …», p. 274.
E lui parte verso la sua nuova vita, con la benedizione della madre, che ha la sapienza evangelica e che commuove anche le pietre a distanza sessant'anni e più da quando apparse sulla carta stampata: «Se è per il tuo bene, figlio! … Se è per il tuo bene, mi saprò rassegnare! … Che iddio ti illumini e ti benedica così come ti benedice tua madre! Benedetto sia,Tiberio figlio mio. Che la terra fiorisca davanti ai tuoi piedi … Possa diventare uomo fra gli uomini come dico io, come desidero io, ed essere capace di fare bene a tutti, ad amici e a nemici» p. 251.
*Saverio strati, Tibi e Tascia, Soveria Mannelli, Rubbettino editore 2019