Ningbo-Zhousan è il terzo sistema portuale mondiale con un traffico di 26 milioni di container. Erano due porti cinesi separati sino a dieci anni fa e insieme movimentavano 5 milioni di container.
Malmoe è un grande porto della Svezia, Copenaghen è il porto della capitale della Danimarca. Si sono uniti ed oggi costituiscono uno dei sistemi portuali più importanti del nord Europa.
Seattle e Tacoma, porti nella costa occidentale degli Stati Uniti, per anni in competizione si sono uniti per prendere una fetta del ricco traffico del Pacifico americano.
Kobe e Osaka,due porti del Giappone, hanno unito le loro forze per sfidare gli altri porti della costa asiatica.
Le unioni dei porti in sistemi portuali definiscono lo scenario planetario del traffico marittimo negli ultimi 20 anni. Dalla Cina alla Europa, dagli Usa al Giappone i grandi sistemi portuali sono i protagonisti e lasciano agli altri le briciole del traffico, relegandoli al ruolo di comparse mute.
In questo scenario l’Italia ha lavorato nella primavera del 2015 ad una riforma della portualità.
Per poter competere nello scenario planetario l’Italia deve avere non più di 5 o 6 sistemi portuali, a partire dal nord adriatico e dal nord tirreno. Il sistema adriatico imperniato sui porti di Venezia, Trieste, Ancona e Ravenna con una alleanza con Koper in Slovenia sul modello Copenaghen-Malmoe, sarebbe un gigante pronto per le sfide del terzo millennio. I primi accordi erano in discussione per concentrare su questo sistema importanti traffici dall’oriente.
I benefici che si ottengono, organizzando grandi sistemi portuali, sono ben conosciuti da tutti a livello planetario se dagli Stati Uniti alla Cina è in corso questa poderosa ristrutturazione con: eliminazione duplicazioni, ottimizzazione banchine, abbattimento tempi, potenziamento catene logistiche, standardizzazione procedure, riduzione burocrazia.
Tra i benefici c’è la riduzione di spese per presidenti, segretari generali, direttori, auto blu, viaggi, autisti, rappresentanze, esperti. Una selva di spese spulciabile nel web. Non è facile stimare questi costi per Autorità Portuale ma un valore a spanne potrebbe aggirarsi sui 5 milioni per anno.
Qui si sono messi in moto i localismi, i micropoteri dei singoli specchi d’acqua, le poltrone, i media con lo sguardo saldamente rivolto al passato. Le corporazioni hanno bloccato sul nascere l’idea dei 6 sistemi portuali di livello mondiale. Ma la necessità di superare la frammentazione, che contava al 2015 una trentina di Autorità Portuali, era così evidente che la riforma si è fatta ugualmente dimezzando le Autorità.
Con la riforma si è sanato l’errore ventennale di alcuni porti nazionali che erano fuori da ogni Autorità e quindi senza risorse. Esempio di questo errore era la Calabria dove Reggio e Vibo, erano da due decenni fuori da qualunque autorità. Con la riforma sono stati inseriti nella nuova Autorità di Sistema portuale facente capo a Gioia Tauro, unico porto intercontinentale del Sud. I localismi hanno continuato la battaglia contro la riforma del 2015 ed il Ministero, gialloverde prima e giallorosso dopo, ha spaccato la nuova Autorità di Sistema togliendo i porti di Reggio e Villa.
In un momento così difficile per il Paese la Presidenza del Consiglio dovrebbe promuovere la nuova riforma portuale che consenta al Paese di entrare nel terzo millennio da protagonista. Peraltro ridurre oggi da 15 a 6 le autorità di sistema porterebbe un risparmio superiore a quello della riduzione dei parlamentari. Diciamo Presidenza e non Ministero perché questo si è mostrato, a dir poco, inadeguato cucinando un indigesto spezzatino dei porti calabresi nonostante la loro collocazione strategica nel Mediterraneo, un mare attraversato dal 40% delle merci che si producono al mondo, riducendone drasticamente le potenzialità.
Se ai politici mancano le conoscenze minimali per capire i benefici che a livello mondiale si ottengono con i grandi sistemi portuali, e quindi dobbiamo rinunciare alla partita, per lo meno potrebbero lavorare per togliere questa tassa da una cinquantina di milioni che alla fine pagano i cittadini.
*UniMediterranea