Ma se la Calabria frana non è colpa degli altri

Ma se la Calabria frana non è colpa degli altri

cosoleto sullacquaro   di CONSUELO NAVA -

Le strade come torrenti di Bovalino, Ardore, Siderno, della Tonnara di Palmi e poi la Statale 106, il crollo dei piloni a Caulonia, dei binari antichi a Ferruzzano, dell’impalcato stradale a Brancaleone e le vie marine appena terminate da rifare ed i torrenti che si rigonfiano, le città che si allagano, i dirupi che sputano massi, la gente che deve evacquare”. Insomma La Calabria tra Reggio e Catanzaro si risveglia in uno scenario apocalittico, ma anche di corsi e ricorsi storici e civili.

Non è una coincidenza che in tutte queste aree si sono perse campagne e promontori e loro manutenzioni e si sono guadagnati abusi di edilizia privata ovunque, trasformazioni incontrollate con infrastrutture sovradimensionate, coperture di fiumi e canali e sottosuoli inquinati e pieni di porcherie.

Ma siccome dei dati ci innamoriamo per poi scrivere i titoli di coda, credo sia più opportuno passare alla vecchia “educazione ambientale”. Quella che ci ricorda che se per due giorni ininterrottamente cade 750 mm di pioggia sulle Serre e 600 mm in Aspromonte, non si tratta di vero e proprio cataclisma ma di un evento straordinario (?) che se trova territori sicuri, permeabili, boschi e campagne che bevono, fiumi e mari da riempire, al posto di città e strade, la gente non è costretta a perdere case, territorio, strade, coste etc. Peraltro i campi rimasti non si allagano e i raccolti non si perdono. Le città non diventano vasche e le loro reti non vanno in tilt.

Le città della Calabria sono “invecchiate male”, non hanno subito gli effetti della modernizzazione così come tutte le città del sud e non hanno reso funzionali e dimensionate le loro reti e servizi. Un sottosuolo invecchiato che riceve il cablaggio per le reti virtuali, ma non per quelle igieniche sull’utenza contemporanea. Insomma si sa, in questi anni le aree urbanizzate a corto di risorse, hanno lasciato le manutenzione e sono andate a caccia di cose da fare sul suolo. Di quelle che si vedono. I centri storici piene di porfidi e pietre e le periferie, antichi giardini di corona urbana, piene di casermoni e residenze, stradoni senza servizi. Le aree interne, paesi perlopiù spopolati, non si mantengono più da soli e mantenerli costa, in termini di pensiero ed economie reali. Le fiumare ed i boschi partono da lì e andrebbero curati come un tempo, ma con le tecnologie di oggi. Eppure in un territorio insediato tra mare e valle, sarebbero la migliore area di compensazione per il clima, la pioggia, la qualità dell’aria, la produzione agricola, insomma dispensatori di qualità della vita.

La popolazione calabrese ed i suoi abitanti che aspirano a vivere da “ proprietari urbanizzati”, nel frattempo hanno costruito ovunque, occupato campi privati e terreni comuni, chiesto strade e svincoli anche per riconnettersi a casa propria, fatto giardini privati di case proprie in aree di esondazione ed in terreni in frana. No, il privato non ha dato il buon esempio, che nel frattempo nemmeno veniva dato dal pubblico. Abbiamo scuole, ospedali, università, enti costruiti ugualmente su terreni in dissesto, a 8 mt da grandi assi viari e ferrovie, abbiamo spostato aste fluviali come se fossero matite e l’acqua ha continuato a scorrere sotto e sopra etc etc. Un territorio, che come gran parte del paese, è condonato per le sue insistenti esigenze di presunzione di abitare e stare “ovunque”. A volte la necessità, a volte dove costa meno perché è di tutti.

La natura registra, il clima cambia, il dissesto idrogeologico è un effetto di una causa non ereditata dalla natura, ma dagli uomini che fanno come gli pare. No non è resiliente la nostra Calabria, perché sono i Calabresi a non modificarsi.

In queste ore ci si chiede come sempre “come fare”, insieme alla caccia alle responsabilità politiche (di altri), si chiedono interventi straordinari per un’emergenza perenne, ci si indigna se i media, tv, giornali non danno spazio con titoloni, ciò assicurerebbe attenzione da parte dei governi nazionali e magari pronti interventi e più risorse. La storia di sempre senza memoria. Occorrerebbe comprendere cosa è accaduto ogni volta, dopo.

La Calabria, quella che con i suoi abitanti vive per il 70% nei centri così urbanizzati e nei litorali tra coste e statali, non si ripensa, cerca sempre “soccorso” e si indigna se viene trattata da “dimenticata”, tranne poi da agire come una che si dimentica di se stessa e della sicurezza della propria gente, del suo futuro.

La Calabria dei governanti poi, quella che ha influenze nazionali e quella che sistema le cose sui suoli dei propri comuni, non riesce mai ad esercitare un pensiero “lungo”. Nello stato di emergenza perenne l’interventismo è più comunicativo del fare quotidiano. I cittadini plaudono e/o postano invettive. Il suolo cede comunque.

Insieme dovrebbero chiedere che ogni volta che si fa un “masterplan” per il Sud le opere strategiche arrivino dopo la salvaguardia del territorio, unica ed urgente opera strategica. Il torrente Budello che costeggia l’area urbana di Gioia Tauro e che si “ferma” prima del Porto è da anni che dirupa, imbarca schifezze e rende il comune insicuro. E in questo millennio i porti senza città non hanno motivo di esistere. Ieri anche il Budello ha imbarcato acqua e sputato cose, anche verso il Porto. Come spesso accade.

I sindaci dovrebbero tornare ad inaugurare reti di servizi pubblici, acque, fogne e depuratori, prima di piazze, centri servizi ed assicurarsi che le scuole stiano dove devono stare. Nelle aree interne occorrerebbe tornare a risiederci ed a lavorare per assicurare l’urbanesimo di tutti.

Ma oggi, mi si dirà, è ancora il tempo degli interventi straordinari, del dopo tragedia, del cataclisma…occorre pensare alla gente. Quanto alla pietas umana, anche quella (perchè ognuno ha la propria) non dovrebbe fare la gara, né speculare sui dissesti e le emergenze.

E’ tornato il sole, occorre cambiare davvero.