CALABRIA. Ma la salvezza non può arrivare da Alvaro

CALABRIA. Ma la salvezza non può arrivare da Alvaro

alvaroSe mi si chiedesse quale autore calabrese ha particolarmente segnato la moderna narrativa calabrese, risponderei senza alcun dubbio: Corrado Alvaro. Se, invece, mi si chiedesse, quali sono i miei autori preferiti – parlo degli autori preferiti senza caratterizzazioni nazionali o regionali – il nome di Alvaro non comparirebbe proprio e, anche nel caso dovessi indicare i miei autori calabresi preferiti, Alvaro non sarebbe certo tra i primi (al primo posto, tra i classici, probabilmente ci metterei Strati).

Se, infatti, oggettivamente riconosco – e sarei un’idiota a non farlo – il suo, grandissimo, valore letterario e la sua, grandissima, importanza nella nostra storia – Alvaro è stato sottovalutato come autore nazionale e, soprattutto, europeo – soggettivamente Alvaro fa parte di quegli autori che non “mi parlano” o, perlomeno, non mi dicono abbastanza. Né come autore tout court e neppure come autore calabrese.

Uno. Ci sono autori anche grandi – ed è così per tutti o quasi, immagino, anche per chi finge il contrario – la cui voce non ha echi nel mio cuore: anche se, naturalmente, riconosco la loro grandezza e considererei un miracolo da andare a Polsi o a San Francesco di Paola a piedi possedere un briciolo delle loro capacità narrative.
Due. Sono figlia di una Calabria marina e campagnola, umile, onesta, bellissima e incapace di far fruttare l’uno e l’altro (il mare è inquinato, col cemento addossato a spiagge ridotte a nulla e la campagna non è mai diventata un motore di benessere economico e sociale, collettivo e adeguato ai tempi). Una Calabria marginale, dall’epica invisibile – molto diversa da quella raccontata da Alvaro e che, a me, appare, comunque, “fissata” in una “mitologia”, come in un archetipo affascinante ma cupo di una sorta di sensualità violenta.

Una Calabria che non è neppure riuscita a narrarsi e che pure è piena di storie che aspettano di essere dette. Come altre Calabrie, rimaste troppo silenti per troppo tempo. E la voce vera della Calabria potrebbe venir fuori solo da un coro di tante voci diverse.

Scrive, in un appassionato intervento sul Corriere della Calabria, Francesco Bevilacqua che, di fronte ai roghi di questo agosto, ovvero “al più grave disastro ecologico” che la regione abbia subito in epoca moderna e non solo, bisogna tornare, per salvare l’Aspromonte alla “lezione di Alvaro”.

Con tutto il rispetto – per Alvaro e per Bevilacqua – mi sentirei di dire che, la Calabria, i propri padri li deve onorare, ma non rimanerne imbrigliata. Non è un caso che la Bibbia comandi verso padri e madri l’onore e non l’amore. Padri e madri – lo si chiami: peccato d’origine o come più piace – trasmettono ai figli, insieme al bene, tanto male. Nessuno riesce a far male ad un figlio quanto un genitore, per quanto amorevole e devoto. Per questo – onorando sempre i genitori – il figlio deve lasciare la sua casa d’origine e formare un’altra famiglia.

Leggiamolo Alvaro e leggiamo tutti gli altri autori calabresi. Sperando che arrivino anche tanti nuovi autori a raccontare le diverse Calabrie. Ma non credo che le risposte che, oggi, la Calabria ha urgentemente bisogno si trovino in Gente in Aspromonte.