Il Dibattito/1. Siamo davvero sicuri che leggere è così importante?

Il Dibattito/1. Siamo davvero sicuri che leggere è così importante?

Mimmo Gangemi in un cameo della fiction televisiva tratta dal suo libro "Il giudice meschino"

di MARIA FRANCO -

Ma è davvero così importante leggere?

Di libri, ne ho letti migliaia e migliaia – sono il vizio che non mi sono mai tolta – ma qualche dubbio ce l'ho.

Uno: perché ho conosciuto tant(issimi)i che non leggono e che sono ottime persone, di intelligenti pensieri, capaci di relazioni profonde e buoni cittadini.

Due: perché leggere e, più ampiamente, avere una cultura certificata da una laurea e più master non si identifica immediatamente con l’essere più buoni, più giusti, più belli: migliori.

Tre: perché tutta quella massa di parole su carta che occupa la mia casa, andrebbe suddivisa in parti disomogenee: i due terzi almeno sono (stati) inutili e/o negativi: libri magari famosi per essere entrati nel dibattito di un’estate ma decisamente brutti e peggio.

Insomma, la mistica della lettura come conditio sine qua non dell’essere non mi convince.

Eppure.

Eppure, leggere mette in movimento i pensieri, consente di appropriarsi delle parole più giuste per raccontarsi di se stessi e per conoscere il mondo, pone in relazione con tutto quanto gli uomini sono riusciti a immaginare, capire, trasmettere di loro stessi nel corso dei secoli.

Leggere significa non essere mai soli, perché nel proprio io vengono ad abitare non solo le persone care, i fatti e gli eventi, belli e brutti, della contemporaneità, ma anche Elizabeth Bennet e David Copperfield, Anna Karenina e il principe di Lampedusa, papà Goriot e Silvia dagli occhi ridenti e fuggitivi.

Leggere vuol dire percorrere e ripercorrere col pensiero le complesse e variegate ramificazioni della vita, saper vedere dentro il singolo io la molteplicità degli io che compongono ciascuno di noi, seguire i fili d’Arianna che possono farci uscire, vincenti, da molti labirinti del presente. Vuol dire sviluppare quelle competenze di giudizio che sembrano sempre più scemare (l’invettiva e il sarcasmo che percorrono i social sono cosa diversa dalle capacità di analisi e di critica). Significa avere sempre un compagno, un amico, che può rallegrare, confortare, divertire, sostenere: accompagnare nei giorni felici e in quelli tristi, essere, talvolta, il cuscino su cui riposare i propri affanni, l'acqua fresca che dà nuova energia e, ancora, lo specchio che rivela nuove, inattese, prospettive.

E, allora, perché non si legge? O, meglio, perché in Italia si legge così poco?

Sì – come scrive nel suo bell'intervento, Ma il risveglio culturale e letterario della Calabria è un’altra illusione, Mimmo Gangemi – Reggio Calabria è l’ultima della classifica Amazon. Ma la prima, Milano, non brilla per acquisto di romanzi, saggistica e poesia: pare che compri soprattutto libri di cucina. E, senza disprezzare la buona tavola – che, anch’essa è elemento culturale – quando si parla di lettura si dovrebbe pensare ad altro che a come cuocere l’uovo al tegamino.

Si legge poco, pochissimo, in tutta Italia. E, di conseguenza, anche gli editori tradizionalmente più importanti perdono utili, le librerie storiche chiudono o vivono fasi molto difficili, l’ebook aumenta le vendite, ma solo perché partiva da zero, senza riuscire a sfondare, si diffondono le vendite di libri “a banchetto”, all’interno delle presentazioni/evento. (Ci sarebbe poi, da affrontare un altro discorso: quello della qualità media di quanto viene pubblicato nel nostro paese: dove si sfornano troppi libri di cui troppo pochi resteranno nel tempo).

E si pone il problema di come incentivare la lettura, di come dare ossigeno a una delle attività che possono, a loro volta, ossigenare il cervello.

Su come farlo, il discorso si fa complesso. Perché la lettura è fatto, di per sé, individuale, che poi diventa condivisione di pensieri e l’azione per favorirla, invece, deve riguardare l’insieme delle persone. (Tra l’altro, ma questo è un altro discorso, la democrazia impone la diffusione più ampia possibile, meglio a tutti, delle conoscenze perché la crescita dell’ignoranza e, ancora peggio, dell’ignoranza indifferente, viene poi pagata a carissimo prezzo da tutti).

I canali privilegiati sono i due che, in maniera diversa, toccano il maggior numero di persone: la scuola che ha a che fare con bambini, ragazzi e giovani adulti e la televisione, che raggiunge quasi tutte le fasce d’età.

Ma non sono i soli. Tra i molti, ne voglio citare uno solo. I tanti premi letterari (la gran parte autoreferenziale, inutile, controproducente) e i festival del libro (ce n’è uno di cui lo stesso Mimmo Gangemi è alla guida), che possono essere o una delle tante passerelle inutili o una delle possibilità di costruire dal basso, capillarmente, attenzione e gusto della lettura.

Che poi la Calabria, che legge poco o niente, esprima però autori come Mimmo Gangemi, non è rinascimento illusorio, è fatto reale. Solo che, come spesso accaduto nella storia, la fioritura di eccellenze letterarie ed artistiche non necessariamente va di pari passo con la globale crescita economica-sociale-culturale della comunità.

E la crescita collettiva impone sforzi, tentativi, sperimentazioni, percorsi – fatica intelligente e appassionata – che vanno ben al di là dei comunicati stampa sul successo di questa o quella (magari pur meritoria) iniziativa.

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