COVID. Riflessioni sul viaggio

COVID. Riflessioni sul viaggio

giro

Qualche giorno fa ho scritto a un amico che ormai viaggio solo con i libri e i giornali. In realtà leggevo tanto anche nell’era pre-COVID, ma in quel tempo che sembra lontano c’erano anche i viaggi veri. Cominciavo a pensarci mesi prima, l’itinerario lentamente prendeva forma, si prestava a revisioni e modifiche, alimentava attese e fantasie. E arrivava il giorno della partenza, del trasferimento in un luogo lontano. E l’arrivo, le carte geografiche a lungo compulsate che diventavano realtà a tre dimensioni.

Nulla di ciò da oltre un anno. Il tempo che ci ha costretti a ben altro viaggio. Il Viaggio nelle ignote terre del Coronavirus, l’attraversamento delle frontiere delle certezze apparenti, l’abbandono dei confini della quotidianità, del perimetro rassicurante dei riti individuali e sociali. La perdita della garanzia della libertà di spostamento. Mi hanno soccorso le letture, e quanti luoghi ho conosciuto leggendo. Nelle ultime settimane ho viaggiato con Fedro e Chris nei grandi spazi dell'Ovest americano (Robert Pirsig, “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”), ho percorso l’intera catena delle Alpi (Franco Michieli, “L’abbraccio selvatico delle Alpi”), ho vagabondato lungo l’America Latina (Ernesto Che Guevara, “Latinoamericana”), ho scoperto l’isola di Helgoland e ho cercato di districarmi nelle complesse vie della fisica quantistica (Carlo Rovelli. “Helgoland”).

Quanti luoghi ho conosciuto leggendo, ma ben altra cosa è il viaggio vero. Lasciare la casa, le infinite comodità e opportunità del nostro guscio, dopo avere preparato un bagaglio essenziale, un trolley in cui abbiamo riposto il necessario, ordinato con razionalità, persino con geometria. Pochi strati sovrapposti di biancheria, indumenti, oggetti necessari per la cura personale, persino qualcosa di superfluo, una sciarpa di seta, a cingere il collo nelle serate fresche, un libro, a farci compagnia nei momenti di pausa.

E quando l’auto, il treno, l’aereo ci hanno portato a destinazione, quando si è compiuto il trasferimento, inizia il vero viaggio. La vista cerca di catturare immagini ad ogni passo, luoghi insoliti e suggestivi si mutano in memoria, la mente si adatta a nuovi orizzonti e a nuove consuetudini, “…il viaggio fornisce l’occasione per dilatare i cinque sensi: sentire e comprendere in modo più profondo, guardare e vedere in modo più intenso, assaporare e toccare con maggiore attenzione…”, Michel Onfray, Filosofia del Viaggio. L’attenzione è massima, opera un processo di aggiornamento delle nostre informazioni, il nuovo di una terra lontana arricchisce la nostra dotazione di idee.

Il viaggio, inteso come ricerca di ciò che non conosciamo o abbiamo solo intuito nella lettura di scrittori, come immersione in un luogo e come incontro con la sua gente, non già come mero passaggio attraverso attrazioni turistiche, il viaggio così inteso è un evento esperienziale, destinato a lasciare tracce durature. Al ritorno a casa inizia il processo di sedimentazione, ciò che è apparso diverso lentamente diverrà familiare e sarà accolto nelle stanze più intime del nostro animo, là dove conserviamo la nostra collezione di ricordi preziosi, “…Viaggiare è un’esperienza musiliana… Si scoprono, come in uno scavo archeologico, altri strati del reale, le possibilità concrete che non si sono materialmente realizzate ma esistevano e sopravvivono in brandelli, dimenticati dalla corsa del tempo, in varchi ancora aperti, in stati ancora fluttuanti…”, Claudio Magris, L’Infinito Viaggiare. Il viaggiatore è curioso e inquieto. L’inquietudine affiora dal profondo, la conosco bene, per essere sedata vuole terre aperte, orizzonti vasti, luoghi desiderati e mai visitati, vuole visioni, per antichi sentieri o vie da scoprire, vuole le mie montagne, così vicine e adesso incredibilmente lontane, vuole pezzi di mondo, ancora vaghi nell’immaginazione, ove lasciare un frammento dell’anima.

Quell’inquietudine tante, tantissime volte si è mutata nella gratitudine verso mondi vicini e lontani, che mi hanno accolto e mi hanno regalato le loro bellezze. Oggi ritorna come un’esigenza forte. E deve accontentarsi, le deve bastare ciò che solo apparentemente è poco. Le basta una finestra, il naso che preme contro il vetro, l’orizzonte a ponente e meridione, le Serre che si snodano verso Sud, il Mediterraneo che si immagina in tutte le direzioni. E posso aprirla quella finestra e lasciarmi investire dal vento che spazza regolarmente la terra dell’istmo. Il vento che mi ricorda di avere pazienza, basta aspettare e sarà ben lieto di gonfiare le mie vele, le nostre vele, “… Tutte le nostre attività sono legate all’idea del viaggio. E a me piace pensare che il nostro cervello abbia un sistema informativo che ci dà ordini per il cammino, e che qui stia la molla della nostra irrequietezza…”, Bruce Chatwin, Anatomia dell’Irrequietezza.