Il romanzo mancato del castello di Bova

Il romanzo mancato del castello di Bova

 bova

di MARIA FRANCO

Passeggiata a Bova in un giorno d’aprile di cielo terso e temperatura gradevolmente mite (due condizioni che, fino a poco tempo, fa sarebbe stato pleonastico aggiungere, ma, quest’anno, è bene precisare).

Dai resti del castello, che fanno, in parte, tutt’uno con la roccia, la visione è, per usare un termine molto, molto blando, stupefacente: il mare, davanti, di un azzurro compatto, quasi un dipinto di uno o due toni più brillante del cielo, con sulla destra l’Etna e, tutto intorno, vallate e colline: in alternanza quelle verdi e alberate e quelle aspre e seccagne e, sparsi, i gialli delle ginestre, l’amaranto chiaro della sulla, il verde dei fichi. Appena sotto il castello, un piccolo grappolo di case abbracciate una all’altra e le stradine tanto strette che uno sovrappeso se le deve fare di traverso. E, su tutto, un infinito silenzio, impreziosito dal cinguettio inesausto degli uccelli, che riempie di pace.

Benché non restino che pochi ruderi, non è difficile immaginare che dentro le spesse mura del castello trovassero rifugio gli abitanti della marina, quando il terrore di turchi e saraceni li costringeva a risalire valli certo non facili da percorrere su strade di fortuna, utilizzando solo piedi e animali da soma.

Dicono in tanti che la Calabria abbia bisogno di una narrazione normale, ovvero di una narrazione non stereotipata, ideologica, schematica. E, in non pochi, lo affermano come se la Calabria fosse, anche in questo campo, il fanalino di coda del paese, o, ancora meglio, l’eccezione negativa, quasi a marcare una inferiore diversità.

Eppure, non tutti i luoghi d’Italia si narrano, non tutti riescono a narrarsi in maniera tale da riuscire a farsi ascoltare fuori dal loro (molto) limitato spazio, non tutti, soprattutto, pur narrandosi, fuoriescono, da alcuni cliché che rendono il loro dirsi opaco e banale.

Se la nostra narrazione presenta limiti evidenti in molti campi (dai giornali alla tv) – limiti che pesano fortemente sul nostro complessivo crescere – nella narrativa propriamente detta non è così. Anzi, negli ultimi anni, abbiamo avuto autori capaci di raccontare il presente e il recente passato della Calabria in modo apprezzabile e, talvolta – per esempio con La signora di Ellis Island di Mimmo Gangemi – in maniera pressoché esemplare.

Ma qui – sul cocuzzolo di Bova, dove lo sguardo può svariare per 360 gradi e poi tornare sempre al mare e, magari, intravvedere le navi pirata e la fuga di donne con bambini in braccio e di pescatori/contadini costretti a reinventarsi come pastori – fa male al cuore che non sia mai arrivato un romanzo, non dico un Capolavoro, ma un romanzo di buona qualità (e/o di livello nazionale) su quella (come su altre fasi) della nostra storia.