Anime nere a Venezia. La critica parla di capolavoro shakespeariano

Anime nere a Venezia. La critica parla di capolavoro shakespeariano

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«Meglio l'Italia non poteva esordire a questa Mostra. Anime nere di Francesco Munzi è un film straordinario per forza emotiva e coerenza narrativa, specie di tragedia elisabettiana ambientata nella parte più cupa della Calabria, dove il destino che incombe su una famiglia finisce per chiedere il suo inevitabile tributo di sangue. Ma è insieme un ritratto finissimo e preciso di un modo di vivere che sembra sfidare i secoli e le leggi, ancorato a vecchie tradizioni e usanze immodificabili che aggiunge al dramma un altro e più concreto livello di lettura, quasi da antropologia dei costumi. Un incontro raro, tra storia e contesto, tra forza della finzione e concretezza del reale, che fa del film una splendida riuscita»

Questo sul Corriere della Sera, l’incipit, di Paolo Mereghetti, il più importante critico cinematografico su Anime nere, in un articolo intitolato Profondo Sud Faide e sangue, una tragedia elisabettiana

Scrive ancora Mereghetti, dopo aver sintetizzato la trama del film tratto dal libro dell’africoto Gioacchino Criaco: «Munzi, che ha firmato la sceneggiatura con Fabrizio Ruggirello (scomparso recentemente: a lui è dedicato il film) e Maurizio Braucci, mette in scena la storia con una linearità “classica”, attento alle psicologie così come ai colpi di scena, per delineare coi caratteri dei fratelli tre modi diversi di vivere l'inevitabile modernizzazione della Calabria: chi sfida apertamente la legalità come Luigi, chi cerca di adattarsi alle regole come Rocco e chi vorrebbe, come Luciano, perpetuare un modo di vivere che volta le spalle a ogni innovazione (usa ancora la “polvere dei santi” per curarsi). In qualche modo sono le tre facce complementari di un'unica Calabria, che verrà spezzata dall'irruenza (e dall'incoscienza) del giovane Leo, convinto che l'intimidazione e la vendetta possano funzionare ancora in un mondo cambiato vertiginosamente. Ecco allora che al centro del film non c'è più una “storia di 'ndrangheta” ma piuttosto una riflessione più amplia e complessa sui rapporti tra cultura arcaica e le “tentazioni” della modernizzazione (tentazioni che vogliono dire soprattutto soldi e droga) e che nessuna mediazione culturale o politica sembra in grado di controllare. Non lo Stato né la Legge, disprezzati nei loro rappresentanti (mamma Rosa sputa al carabiniere che perquisisce la casa), ma neppure il senso della comunità, che si frantuma di fronte al risuonare di un destino che sente solo le ragioni del sangue e della vendetta. Munzi, che ha ambientato il suo film nel triangolo più ostile della Locride (Africo, Platì e San Luca) e che ha fatto parlare i suoi personaggi nel dialetto locale (naturalmente sottotitolato), sfrutta le sue origini documentaristiche per rimarcare legami sotterranei tra le persone e i loro comportamenti (le due scene dei capretti uccisi e dissanguati; la già citata “polvere dei santi”; il fidanzamento come suggello di un'alleanza), sfrutta al meglio un cast eccezionale per forza espressiva e verosimiglianza (dove accanto ad attori professionisti recitano abitanti di Africo e dintorni) e tesse così la rete di un racconto dove il realismo dell'ambientazione e la giustezza dei comportamenti finiscono per esaltare ancora di più l'esplosione della tragedia finale, vero pugno nello stomaco che lascia ammutoliti e ammirati».

Molto positiva anche la critica di Repubblica affidata alla penna di Natalia Aspesi: «Storia antica e contemporanea di maschi, di onore e vendetta, di ricchezza criminale evita miserabile; belle facce di uomini bruti dai gesti spavaldi, rimaste primitive nel pieno della modernità del traffico di cocaina. Anime nere ( che ha ottenuto 13 minuti di applausi e la standing ovation alla proiezione per il pubblico ) è un bel film tradizionale, girato benissimo da Francesco Munzi, il primo dei tre film italiani in concorso interpretato magnificamente da attori meridionali e da africesi, un melodramma appassionante e cupo anche nelle immagini, che sembra esagerare la realtà odierna di quella zona meravigliosa della Calabria. Ma forse invece è tutto vero ( non la storia ma il contesto ), e allora siamo rimasti all'Africo che Corrado Stajano ha raccontato nel 1978 nel suo libro, quel paese retto sino al 1970 dal Pci e poi passato in mano a partiti vicino alla 'ndrangheta, per diventare ai piedi dell'Aspromonte la zona più mafiosa della Calabria»

Continua la Aspesi: ««Tra i grattacieli di Milano e i suoi uffici dalle grandi vetrate e le catapecchie di Africo arredate con mobili dorati, tra il mare grigio di Amsterdam e il lucente Jonio, tra le strade asfaltate della Brianza e quelle di terra dell'Aspromonte, il film si incanala verso la tragedia che esagerando potrebbe definirsi shakespeariana, una storia di odi antichi che non si estinguono mai. Ad ogni ritorno ad Africo Luigi regala ai parenti Rolex d'oro, alla madre una collana di perle, "Ma che mene faccio io" dice la vecchi a signora. Ad Africo le donne cucinano, servono in tavola, tacciono e sanno che prima o poi piangeranno. Ad Africo, gli uomini dal giubbotto nero e dalle mani in tasca sono sempre in gruppo a mormorarsi sospetti e a immaginare vendette. Ad Africo ad ogni morto ammazzato i parenti si disperano, sanno tutto ma non parlano con i carabinieri. Ad Africo i nemici mandano corone di fiori per il morto da loro stessi ammazzato. Ad Africo al funerale della vittima mafiosa di mafiosi vanno solo le donne. Ad Africo, ogni occhiata ha un senso, il silenzio grida. L'Africo di Munzi e Criaco, al di là della storia inventata dei tre fratelli, è spaventosa, un angolo abbandonato e irrecuperabile, severo, dell'Italia».

Considerazioni che fanno capire come il film abbia già iniziato sui social (dove nessuno l’ha visto, sarà nelle sale a partire dalla metà di settembre), reazioni forti, appassionate e contrastanti, tra chi esalta il libro di Criaco e gli applausi a Munzi e chi si chiede, con preoccupazione o rabbia o astio se lo stesso successo del film non sarà di danno all’immagine della Calabria.

Mario Caligiuri, assessore alla Cultura della regione Calabria ha emanato un comunicato stampa che recita: “Sono orgoglioso che un film su un libro scritto da un calabrese e pubblicato da una importantissima casa editrice che tocca un argomento fondamentale sia agli onori della ribalta a Venezia, essendo il primo film italiano a sfilare nel concorso principale della Mostra di Venezia 2014. I problemi per essere combattuti devono essere capiti e il contrasto alla criminalità, deve essere prima di tutto. Mi fa piacere che il film di Munzi porti la Calabria al Lido, che si tratti di un film tratto da un romanzo di uno scrittore calabrese e che sia stato applaudito. Ma quello che non è accettabile è assistere all'uscita di titoli e articoli di commento che trasudano stereotipi sulla Calabria 'a mano armata' e sull'equazione calabresi-'ndrangheta che certamente respingiamo e che non ci appartiene. Non si può ridurre l'immagine di una regione spiega alle Anime Nere, soprattutto in una vetrina internazionale com’è la Mostra di Venezia. Il film offre necessariamente uno spaccato parziale per esigenze narrative. Ma spero che i commentatori siano rispettosi di un territorio che offre molto altro e che proprio in questi anni sta assistendo, al di là di ogni narrazione, a una evidente rinascita culturale”.

Un film da vedere. Da giudicare personalmente. Magari dopo aver letto il libro (edito da Rubbettino). E che farà fare un passo avanti al dibattito su "la Calabria e la sua rappresentazione". E che, già di per sé, rappresenta un momento alto dello sforzo che alcuni autori calabresi stanno facendo di raccontare il presente, consci che la verità è la strada verso il futuro.

M.F.