LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. Attenti al Sud di Aprile, de Giovanni, Gangemi e Nigro da oggi in libreria

LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. Attenti al Sud di Aprile, de Giovanni, Gangemi e Nigro da oggi in libreria
mim Nel giugno del 2015 Panorama d’Italia, il tour organizzato dal settimanale diretto Da Giorgio Mulé, si accese, a Matera, di un dibattito tra «quattro moschettieri letterari del Sud». Gli interventi di Pino Aprile (pugliese); Maurizio de Giovanni (campano), Mimmo Gangemi (calabrese) e Raffaele Nigro (lucano), sono ora al centro di Attenti al Sud, che Piemme manda in libreria il 10 ottobre.

Tra la restanza, esaltata da Pino Aprile, convinto che «al Sud le nuove generazioni, recuperando il valore della differenza, e traendo da questo valore il proprio orgoglio e la propria forza, e in moltissimi casi facendone anche la propria economia, partecipano a quel movimento mondiale che sta ribaltando i cascami di una vecchia civiltà» e la fuganza temuta da Raffaele Nigro, che legge «nei volti dei nostri ragazzi una voglia, una frenesia di fuga» che «dà spago ai filosofi dell’abbandono.», Maurizio de Giovanni inserisce un nuovo termine: militanza.

«Militanza nel riconoscimento di un’identità e nell’orgoglio di questa identità. – dice il padre del Commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone – Chiunque si trovi con un microfono in mano e con una telecamera puntata addosso, dovrebbe ricordarsi chi è. E dirlo. Con pregi e difetti. Io non sarei così deciso nello scorporare il buono e il cattivo in maniera radicale. Perché il buono diventa poco credibile quando viene scremato di tutto il cattivo. Questa ambivalenza dobbiamo sempre ricordarla, nel definire la nostra rotondità. Noi abbiamo una sfera di cose, ma dobbiamo fare in modo che questa sfera ruoti opportunamente, che stia costantemente in movimento e che mostri tutte le sue facce. Questa è la militanza: che il meridionale sappia di essere meridionale e se lo ricordi sempre; e che si assuma la responsabilità della propria identità, nel bene e nel male. Perché nel bene non avremmo né vergogna né paura della bellezza. E nel male fronteggeremmo il problema sapendo, finalmente, combatterlo.»

Se la situazione del Sud può essere vista in chiaroscuro, quella della Calabria «una terra che arranca e zoppica» pende fortemente, secondo Gangemi, verso il secondo aggettivo: «Curioso, “attenti al Sud” mi suona “attenti ai calabresi”, in tempi in cui gravano pesanti il pregiudizio e la condanna sulla Calabria, talmente alla gogna che chi la vive si muove a disagio, sulla difensiva, da colpevole, comunque. Si fa di tutto per convincerci, e in parte è avvenuto, che siamo i peggiori; che, se non ci fossimo noi, l’Italia sarebbe ben altra cosa. Vero che la Calabria ha tanti demeriti, la ’ndrangheta su tutti, e che le classifiche di civiltà la bollano buona ultima. La censura va però molto oltre le colpe reali. E si tacciono i valori che qui resistono e altrove sono in via di estinzione o già estinti: il senso della famiglia, il calore umano, la solidarietà e l’accoglienza di cui è efficace testimonianza l’apertura generosa agli sventurati che giungono dalla quarta sponda d’Italia di mussoliniana memoria.»

«Certo, non è sostenibile che la Calabria sia un’oasi di pace. – afferma l’autore de La signora di Ellis Island – Nelle aree più segnate dall’oppressione malavitosa si sono perpetrati crimini orrendi, con la ’ndrangheta che è testa, mani e piedi dentro i traffici peggiori: prima i sequestri, dopo la droga, le armi, le scorie tossiche, quelle radioattive. A delinquere è tuttavia una sparuta minoranza, seppure capace di un pieno controllo del territorio e di costringere il resto della popolazione a una sorta di libertà condizionata, libera finché non impatta in un interesse anche minimo di quelle poche bestie feroci, libera finché non progredisce in un benessere che accende gli appetiti.»

«La condanna è generalizzata, – osserva Gangemi – senza ragionare che la stragrande maggioranza è composta da persone perbene al più con il difetto umano di avere paura e con nessuna intenzione di trasformarsi in eroi coperti di gloria ma con i gigli sul tumulo al cimitero venuti su a furia di lacrime. O che vivono una confusione tale da non sapere più in quale parte della barricata riconoscersi e fidare. Questo pure per le antiche ferite inferte dallo stato – e non rimarginate del tutto – che fin dall’Unità s’è macchiato di soprusi e di colpe che a lungo hanno messo la museruola all’idea di una patria comune.»

I calabresi finiscono con lo scontare la ‘ndrangheta, male enorme «metastasi del cancro» che fu l’onorata società, due volte, «nel subirla e nell’essere trattati alla stessa stregua dei malavitosi, come se tutti, in diverse misure, ne siano parte. O tre volte, se si aggiunge la colpa, addossata di recente, di averla esportata. Sul punto, dissento e propendo per la tesi di Federico Varese, criminologo con cattedra a Oxford, di altra fattura rispetto ai fastidiosi esperti con cui i mass media asfissiano e ammalano di morbosità la nazione. »

«La ’ndrangheta è una bestia feroce da annegare sotto gli sputi del disprezzo. – ripete Gangemi – E io sto con la Giustizia, la bella e formosa signora con la bilancia nella destra, la spada nella sinistra e una benda agli occhi. Però... Però, quella signora mi sussurra in un orecchio che…» bisogna fare molte correzioni anche nel campo che si proclama anti -‘ndrangheta: «I calabresi vogliono essere dalla parte della Giustizia, di quella che però non incuta timore, che rassicuri piuttosto, si mostri amica, vicina, pronta a soccorrere, di quella che riconosca il diritto di avere paura.»

«’Ndrangheta e malaffare – e quanto non funziona a dovere sul fronte opposto – bisogna raccontarli. – scrive Gangemi – Tacerli non aiuta a uscirne. Tacerli è ipocrisia, è amor di patria mal riposto. Raccontarli significa mettersi davanti a uno specchio che non inganna e riconoscere le brutture che appesantiscono l’aria, appestano la vita. Prendere coscienza dei problemi è il primo passo da cui ripartire per ricostruirsi migliori.» E per evitare che si avveri un timore che “ingrigisce i pensieri”, ovvero che «l’attuale condizione di sconfitti – sconfitti continua ad apparirmi una resa provvisoria, da cui ci si può risollevare – sia destinata a trasformarsi in una condizione di vinti da cui non si emerge.»

Aprile, De Giovanni, Gangemi, Nigro, Attenti al Sud, Piemme, euro 12, 75