Visto come stava andando il mondo le campane a martello non potevano che significare la mobilitazione.
[...] ma ce la sbrigheremo in quindici giorni.
[…] tutti sorridevano fiduciosi perché era evidente che tutta questa storia non sarebbe durata a lungo, sarebbero tornati presto.
[…] Finirà prestissimo, ha ribadito Charles, saremo di ritorno per settembre.
[…] ma è questione di due settimane, la risolveranno in fretta.
[…] Questione di quindici giorni aveva valutato Charles tre mesi prima.
Tutto questo detto in Francia. La stessa cosa veniva detta dall’altro lato, da Guglielmo II che nell’Agosto del 1914 diceva: Tornerete nelle vostre case prima che siano cadute le foglie dagli alberi.
E invece non andò così. La sicurezza di poter aprire e chiudere la guerra in quindici giorni, si sbriciolò subito.
Dal luglio 1914 al novembre 1918, quattro anni di guerra. 9 milioni di morti sui campi di battaglia e 7 milioni di vittime civili.
Il 4 novembre 2018 è il centenario della fine della grande guerra: la prima guerra definita mondiale.
’14 di Jean Echenoz, pubblicato da Adelphi, racconta la tragedia immane con i soli occhi del protagonista, e quindi solo quello che lui può vedere o sapere. La grande storia che si incrocia con quella personale e familiare. Nessuna incursione saggistica nel romanzo, invece il disincanto, l’accettazione di una vita con topi e pidocchi, la fortuna (!) di un braccio reciso di netto.
Tanta saggistica è stata prodotta pubblicando dati terribili, molta letteratura scientifica ha indagato i vari aspetti specifici con dettaglio disaggregato e profondo, si rischia di perdere il filo.
Può essere utile allora riprendere la prima guerra mondiale con la narrativa. Una narrativa difficile, perché è difficile parlare di 16 milioni di morti causati dagli uomini, la prima volta che succede nella storia del genere umano, anche se poco dopo è successo ancora. Sembrava impossibile ma è successo di nuovo e in modo ancora più grave, qualora si possano fare graduatorie nelle tragedie.
A 100 anni dalla fine della prima grande tragedia bisognerebbe richiamare le cause che gli storici hanno indagato, al di là del pretesto dell’attentato. Le cause vengono raccontate in modo geografico: l’Alsazia e la Lorena, la penisola balcanica; tutte le regioni contese. Ma la base di tutte le cause è nei nazionalismi, e tra questi i nazionalismi esasperati del pangermanesimo e del panslavismo. Il torcere l’idea di nazione a quella di etnia, di stirpe, di discendenza; il voler far coincidere confini geografici ed etnici. Come sarebbe stato possibile in una Europa che da almeno 20 secoli mischiava nei territori popoli diversi, culture, lingue?
16 milioni di morti non sono bastati. Si riprenda l’incipit di Rosario Romeo per la voce Nazione nella enciclopedia del novecento Treccani. Il secondo conflitto mondiale è rimasto nella storia come l’ultimo e più tragico risultato dei principi e dei valori nazionali che erano stati al centro della vita europea nei centocinquant’anni seguiti alla Rivoluzione francese ed erano giunti a un culmine di estrema esaltazione dopo il 1918.
Solo l’Unione Europea è riuscita a garantire 70 anni di Pace nel nostro continente. Oggi insieme alla Pace i cittadini chiedono Lavoro e Sicurezza.
Qui e adesso bisognerebbe ritornare al valore della Patria. Che rappresenta la terra della storia, delle tradizioni, della cultura, della ricchezza del pensiero.
Ecco in questa sorta di dicotomia nazione-patria sono passati questi 100 anni. Un ampio dibattito si potrebbe aprire sul significato di ciascuno dei due termini, ma al di là delle sfumature, delle precisazioni, delle dispute verbali, il nazionalismo ha generato con la sue prime tre lettere: naz, termini tremendi come nazismo; patria deriva direttamente dai padri, ed i patrioti sono quelli che hanno fatto l’Italia e la Patria celeste è il fine dei credenti. Certo ci sono usi ibridi delle due parole, a volte sovrapposti, ma la storia ci ha consegnato questi significati, forse preminenti: da una parte l’IO del nazionalismo, e dall’altra il NOI del patriottismo. Forse dobbiamo scegliere anche per le nuove generazioni.