LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. "Lungo il sentiero delle trasparenze" di Felice Foresta

LE RECENSIONI di MARIA FRANCO. "Lungo il sentiero delle trasparenze" di Felice Foresta

fefo

«Ognuno di noi è l’addizione delle persone, dei luoghi, e delle suggestioni che ha la ventura di incrociare nella vita», e, nello stesso tempo, «Ognuno di noi (…) è anche l’addizione delle assenze che si è scelto o che ha subito.»

L’intrecciarsi, nel nostro essere, di presenze e assenze, di pieni e di vuoti vale per tutti, ma ha come una maggiore intensità per chi è del Sud: «Sono un figlio del Sud e con il passare degli anni ho imparato che abitare il Sud non è abitare un luogo, non è abitare al Sud. È qualcosa di più. È leggere anche tra le righe di un linguaggio, quello delle parole non dette. È leggere anche tra le rughe di uno sguardo, quello dei singoli. È prima di tutto, però, leggere tra le pieghe della vita attraverso un gioco di luci, quelle che ti accerchiano, ma che non sempre sei in grado di cogliere. Un caleidoscopio di suggestioni sfuggenti e contrastanti. Allora ti areni e subisci la fascinazione e la tentazione del buio. Il buio non consola, però, rimanda ma non ripara. Per chi abita il Sud, il sole, allora, non può essere solo speranza. Per chi abita il Sud, il sole è un segno.»

Protagonista di Lungo il sentiero delle trasparenze di Felice Foresta, edito da Tralerighe Libri, è un giovane avvocato (professione esercitata a Catanzaro dallo stesso autore) che, avendo, da tempo, «licenziato la mia ultima velleità letteraria» e, da poco, una «contorta storia d’amore e rabbia» si propone di riprendere, ormai finite le vacanze estive, non solo l’attività forense, ma anche quella di scrittore: «Appuntai un paio di pensieri e cominciai a cercare parole. Il mio fu un viaggio al buio e all’indietro. Sapevo di perdermi lungo un sentiero, e mi persi. Non avevo molte idee, e a quelle poche che si affacciavano mancava qualcosa. Non riuscivo a modellarle, a renderle fluide, a metterle insieme in maniera convincente. Pensai, però, che fosse ormai maturo il tempo di scrivere ancora, di scrivere ancora di me stesso. Dovevo solo trovare le parole giuste per iniziare.»

Gli incontri, casuali, in Piazza Mercato, la visita al cimitero, dove riposa il padre, la quiete delle Serre con la grotta del monte Consolino piena di piccole incisioni, «aneliti di trascendenza e il preghiera», accendono l’esigenza di improvviso viaggio a Parma alla ricerca di tracce di uno zio, medico, morto troppo giovane: «Un vuoto che certo non avrei potuto più riempire, ma almeno sarebbe servito a spiegarmi perché algide scaglie di una sofferenza trasversale, del cuore e della ragione, avevano sempre deformato il cuore dei miei nonni. Un’ecchimosi del cuore e della mente di cui la mia spensierata libertà di bambino non era mai riuscita a cogliere appieno la ragione.»

Un viaggio che diventa confronto con gli altri e colloquio con se stesso, «il coraggio di entrare nella mia grotta ogni volta che il sole è basso, che sento di smarrirmi e non ho a chi chiedere di darmi la mano. Il mio, forse, è un triangolo di specchi, per guardarci dentro, rivedere dietro e ritrovare il mio domani.»

Raccordato da poesie di carattere lirico-riflessivo, il racconto di Foresta parla di una Calabria dai mari trasparenti e dalle montagne rocciose, ricca di sconosciute memorie cristiane e con una popolazione che, abituata ad essere ignorata, reagisce con un linguaggio che raddoppia le consonanti e allarga le vocali. Ma è soprattutto intessuto di considerazioni sul senso dell’esistenza: «La nostra vita, in fondo, è una viaggio fra gli opposti. Tu stai al centro tra forma e sostanza, tra chi sta vicino e chi non c’è più, tra chi ti stringe le braccia e chi soltanto la gola del cuore. L’importante è non stancarsi di tenerle strette, la trasparenza e la materia, devi farle vivere insieme, regalargli lo stesso battito come un cordone ombelicale, declinarle come una parola sola.»

La scoperta che «non si è per se stessi. Si è con gli altri e per gli altri, per chi ci ha preso in braccio solo tre mesi, per chi non ci ha neppure conosciuto e per chi continua ad ascoltare il nostro e poi?, per chi è una trasparenza del presente o solo un segno, anche solo uno spigolo scheggiato, un vezzo del passato», diventa, per l’autore, «il treno per un altrove del mio io. Da quel treno non sono più sceso.»

Felice Foresta Lungo il sentiero delle trasparenze, Tralerighe Libri, pp.171, euro 15