LA CALABRIA e i PROVERBI. A Febbraio il freddo entra anche nel corno del bue

LA CALABRIA e i PROVERBI. A Febbraio il freddo entra anche nel corno del bue
leg   Frevaru scorcia la vecchia a lu focularu

In genere i proverbi sui mesi dell’anno parlano di meteorologia, di festività, di produzione alimentari fondamentali

Sicché gennaio comincia con l’Epifania, a Befanadopu a Befana sona u tamburu / cu ndavi nuciddhi s’i zicca nt’o culu.

Per tutto il periodo natalizio i bambini giocavano con le noccioline (a ceramita o a fossitta, facendo rotolare  a turno una nocciolina lungo una tegola dentro una piccola fossa o sul piano; vinceva colui la cui nocciola colpiva quelle degli altri che non si erano toccate tra di loro; a casteddhu, mettendo tre nocciole per terra e una sopra e il competitore da lontano doveva colpire la piccola costruzione con un’altra nocciola più grossa, u baddhu ); dopo la notte dell’Epifanie le nocciole vinte venivano mangiate dal vincitore perché tanto non si giocava più.

Gennaio poi era il mese del clima comunque favorevole alla produzioni nelle masserie: gennaru siccu (senza piogge) massaru riccu / gennaru chinu (cioè con le piogge) massaru signurinu, ove l’ultimo nesso è un ossimoro in cui il massaro, cioè il concessionario temporaneo della terra, è assimilato al proprietario terreno.

Gennaru / puta paru dato che i rigori invernali, inibendo la vegetazione, consigliano di effettuare i tagli necessari e sanabili dalla futura esplosione vegetativa di fine inverno.

Frevaru / scorcia la vecchia a lu focularu per il grande freddo, che in questo mese trasi puru nt’a lu cornu di lu boi, cioè entra pure nel corno del bue.

Febbraio è anche il mese della Festa della Candelora che, oltre ad essere indicativo della prossima fine dell’inverno o del suo prolungamento, era giorno in cui si doveva mangiare carne, anche a costo di impegnare la figlia femmina per ottenere i denari necessari alla provvista: a la Candilora, cu non avi carni mpigna a figghiola.

Frevaru è curtu e amaru.

Marsu nci la fici puru a so’ mamma: ‘le lavandaie calabresi raccontano infatti che marzo, alla madre che gli chiedeva come sarebbe stata la giornata, rispose che avrebbe fatto bel tempo: la poveretta, fiduciosa, andò al fiume per fare il bucato e vi annegò (Bagnato, Proverbi calabresi, 15) perché il fiume era improvvisamente ingrossato dalle tante piogge. 

Ma marzo e anche il mese dei venti, Ventoso secondo il calendario rivoluzionario francese, dal 19 febbraio a 20 marzo:

Marzu puru sarìa nu bellu misi

Si non avissi li venti friddusi

‘Ngrassa li boi, acconsa li majsi,

E nci carca la coppula ‘e tignusi,

Ti faci poi crepari di li risi

Si guardi nt’a la facci ‘e guaddharusi.

I versi di questo ‘proverbio epigramma’ ( Brancato, 14) unificano i luoghi comuni sul mese: i venti freddi, l’erba che ingrassa i buoi, i tignosi senza capelli costretti a tenere il cappello calcato e i poveri malati di ernia che tengono ritratto in viso la sofferenza per la loro malattia e assumono una smorfia che fa ridere  chi è sano.

A marzo è sconsigliato esporsi al sole perché l’escursione di temperatura può provocare malattie da raffreddamento anche mortali:

Megghiu to mamma mi ti ciangi

Ca lu suli di marzu mi ti tingi.