L’ANALISI. Pd, perché è stata la scissione più noiosa della storia della sinistra

L’ANALISI. Pd, perché è stata la scissione più noiosa della storia della sinistra
scissione5   UNO. Dalla fuga di incertezze che hanno avvolto la giornata Pd al Parco dei Principi è emerso un solo dato (quasi) certo: mai una scissione (vera?) della sinistra era stata tanto noiosa, priva di emozione, incomprensibile. Niente da spartire con l’impeto appassionato dell’avvocato Terracini che quasi un secolo fa a Livorno perorò i 21 punti di Lenin per entrare nell’Internazionale comunista segnando la nascita del Pci (Pcdi) mollando i massimalisti di Serrati e i riformisti di Turati. Né con la consapevolezza composta e drammatica con cui Saragat a Palazzo Barberini (1947) abbandonò Nenni per l’Occidente. E a dirla tutta, neanche con l’emozione (interamente dimenticata) con cui Vecchietti e Valori (chi erano costoro?) azzopparono la carica riformatrice del centro sinistra anni Sessanta (Vittorio Foa, molti anni dopo si confidò: “Non ho mai capito come perfino uno come me sia finito in quella stupida trappola”). Insomma, decisamente molto più giù della fierezza di Pintor o delle lagrime della Bolognina sostituite da un irruento Emiliano che s’affloscia da un “tenetemi sennò li picchio” a un imbarazzante (e inutile) “Io ho fiducia nel segretario” rivolto a Renzi.

DUE. E’ accaduto, credo, perché la giornata del 19 febbraio s’è interamente svolta su processi e fatti del Pd già interamente consumati. Fatti accaduti e quindi non modificabili che ormai richiedevano una semplice presa d’atto. Certo, con tutte le complicazioni connesse allo scontro mediatico, vera sostanza dell’evento che tutte le componenti Pd erano e sono fortemente interessate a vincere. Per questo, a parte alcuni momenti di intenso pathos (Epifani, Fassino, Veltroni) non è scattata alcuna emozione corale, né si è saputo di decine o centinaia di circoli e sezioni affollati dalla passione dei militanti in attesa della conclusione di un dramma che non c’era, la componente necessaria per trasformare in evento ed emozione una circostanza.

TRE. La scissione nel Pd, a lungo contenuta, val la pena ripeterlo, è esplosa col No organizzato all’interno del Pd schierato ufficialmente per il Sì. Su questo s’è interamente consumata. Non si è trattato di un fatto improvviso, come dimostrano gli scontri che negli ultimi tre anni avevano già accompagnato l’esperienza renziana. All’inizio della relazione il segretario dimissionario l’ha riconosciuto con schiettezza ma ha virato subito dopo verso la soluzione più comoda e sbrigativa per vincere: le incomprensibili diatribe sui tempi del congresso o la (presunta) alternativa tra congresso e conferenza programmatica. Argomenti che hanno assegnato alla minoranza dem il ruolo e l’immagine di un gruppo di azzeccagarbugli confuso e sconclusionato.

QUATTRO. Per essere più precisi: le scissioni nel Pd sono state due. Intanto, quella degli “elettori” Pd e di Csx dal Pd che impedì a Bersani di vincere nel 2103. In quella tornata, infatti, il Csx perse 3mln e 641mila voti. E il Pd da solo precipitò da 12mln e 95mila voti (33,17% di Veltroni) a 8mln e 644mila (25,42% di Bersani). Una voragine aggravata ancor di più dal fatto che il Pd di Bersani non riuscì ad approfittare di una sola oncia del gigantesco bottino di 7 Mln di voti che Berlusconi perse sul campo aprendo la strada agli 8mln e 700mila voti di Grillo (i voti non si spostano in blocco da una parte all’altra, si muovono tra interferenze, contraddizioni e linee spezzate, ma è matematico che la parte maggioritaria del M5s è carne e sangue della nebulosa berlusconiana).

Fin lì fu perdita di elettori. Il referendum, invece, ha segnato la scissione (la seconda) di parte dei “militanti” Pd dal Pd. Il Sì/ No referendario ha fatto saltare gli equivoci che tenevano insieme un partito dove coesistevano due visioni diverse e opposte sulle regole e la gestione del potere, cioè sulla ragione centrale per cui si sta insieme. Da un lato, la voglia di una democrazia che decide riducendo al minimo la mediazione e comunque impedisce alle mediazioni di bloccare il cambiamento (al di là del giudizio di merito su di esso). Dall’altro, la preoccupazione, antica nella storia della repubblica italiana, che una democrazia decidente possa trasformarsi nell’incubo di un uomo solo al comando.

CINQUE. Quanto è stata ampia questa seconda scissione? Ancora non lo sa nessuno. Lo scontro sul referendum è stato epocale e continuerà a modificare culture e convincimenti degli elettori per un periodo lungo e con effetti non ipotizzabili. Come i referendum su Repubblica e divorzio. Ma il 41% referendario, raccolto dal Pd, anzi dalla maggioranza Pd, quasi sola contro tutti, consente ai renziani di immaginare che la scissione già consumatasi non sia stata catastrofica. Altra questione è capire se comunque la dimensione della scissione sarà tale (il che non è improbabile) da impedire al Pd di restare il perno del sistema politico italiano. Insomma, l'atteggiamento della maggioranza Dem si spiega solo ipotizzando la convinzione che chi voleva lasciare il Pd lo abbia già fatto e che gli scissionisti non possano provocare altre perdite.

Questo il quadro, offuscato dal tentativo ancora in corso, destinato a durare, di una lettura eticista dei fatti che si preoccupa di stabilire chi ha più colpe e responsabilità per la rottura. Ma in realtà il 19 febbraio, a Parco dei Principi, le cose più importanti erano già accadute da un pezzo.