L'ANALISI. Le strade impervie dell'informazione

L'ANALISI. Le strade impervie dell'informazione

Alcuni giorni fa a Lamezia Terme c’era il ventennale della nascita di un periodico, ora on line ma prima anche su carta, il Lametino, una finestra autentica, vera, riconosciuta, apprezzata di un territorio vasto, ricco di certezze e di tante potenzialità finora in parte inespresse; di un’economia rigogliosa; di un vivace mondo culturale; di un associazionismo di grande valore; di una Chiesa coraggiosa e anche spavalda; di una politica contrastante e contrastata come è del resto in tante parti della Calabria e dell’ Italia.

   L’occasione della celebrazione e dell’uscita del giornale, rinviata all’ultimo minuto per il maltempo, poteva essere utile per fare anche un ragionamento su una scala un po’ più vasta sul ruolo del giornale, della stampa e dell’informazione a tutto tondo nel momento storico che stiamo vivendo, in Italia e nel mondo.

  Proviamoci qui a tentare di aprire una finestra.

  Si sta, infatti, facendo strada l’idea che l’informazione per come la conosciamo sia una specie di orpello inutile e anzi incongruente in una società così detta ‘’dell’istante’’ come è diventata quella digitale; che le dinamiche comunicative e relazionali persino siano ormai diventate di dominio esclusivo dei social.

  Un signore americano di recente divenuto uno dei più stretti collaboratori del presidente Trump nonché l’uomo più ricco del pianeta sostiene che giornali e televisioni non servono a garantire comunicazione, che l’unica verità possibile sia quella prodotta da decine di milioni di persone che nello stesso tempo immettono in rete notizie e punti di vista, poco conta se siano fondati o no sulla realtà.

   Gli algoritmi regoleranno i rapporti, inondando di news reali o inventate la rete, alla quale si consegna in questo modo il bisogno di comunicazione e di conoscenza e financo l’illusione di relazione.

  Non è uno scenario apocalittico il mio ma la realtà  che in parte già si vive e si vivrà ancor di più se, appunto, si molla la presa sul concetto di una informazione seria, accertata, rigorosa, credibile; non gridata, autorevole, legata al territorio, il più piccolo possibile dico io, in un mondo che spesso finisce di conoscere e di apprendere solo quello che viene vomitato, secondo dopo secondo, in una rete impazzita e incontrollata.

  Anzi: NO, correggo. Assolutamente controllata e in grado di indirizzare financo processi politici ed economici a livello mondiale, come recentemente si è visto negli USA. Allora esperienze come le tante che pure ci sono in Calabria servono e serviranno il doppio, il triplo etc etc.

   Servono ovviamente se riusciranno a fare  un lavoro di raccordo vero tra la realtà e il territorio in tutte le sue accezioni e sfaccettature. Ma soprattutto se crescerà la consapevolezza diffusa che non può esserci una vera democrazia se muoiono o sono soffocati, o travolti dal dilagare della pirateria che regala gratis ogni giorno i giornali sui vari social e gruppi di watts up e telegram, o dalle chiusure ormai quotidiane delle edicole e dei punti vendita.

   Occorrerà mettere testa e giudizio, infine, anche al luogo comune che i giornali non servono più e che basta andare sulla rete e lì si trova tutto. Si trova quello che qualcuno vuole farci trovare. Quindi il giornalismo professionale e verificato non piace più ai lettori che scelgono di leggere le notizia a partire dai motori di ricerca e lungo le infinite catene dei social? In realtà, non è così. Provate a googlare “Calenzano” e vi appariranno decine, centinaia di notizia sulla tragedia del deposito di carburante. Provate a leggere da dove vengono: sono tutte o quasi di provenienza di giornali piccoli o grandi e scritte da professionisti o pubblicisti dell’informazione. Cosa vuole dire? Vuol dire che Google utilizza i pezzi dei giornali per metterci la sua pubblicità e fare i miliardi. Li ruba? Non esattamente: li “indicizza”, cioé li mette in fila in base alle segrete regole del suo algoritmo. Ma la pubblicità sulle pagine di Google resta al motore di ricerca. In qualche caso, gli editori hanno provato a ribellarsi chiedendo la remunerazione del diritto d’autore che è in testa ai giornalisti pagati da loro e che i professionisti “cedono” alla testata nel momento in cui vengono assunti in cambio dello stipendio. La risposta di Google è lapidaria: «Se volete non vi indicizzo più». Come dire: «Se volete vi faccio sparire». In qualche altro caso sono partite le cause promosse dai gruppi editoriali (ce n’è una in piedi di 32 editori europei capeggiati da Axel Springer da 2,3 miliardi di dollari), ma il gruppo di Sergey Brin ha squadre enormi di legali e non sarà facile per gli editori.

Insomma, non è vero che i giornali (su qualunque piattaforma materiale o virtuale siano scritti)  e il giornalismo professionale ,  non servono più. In Italia, all’inizio del millennio si vendevano circa 6 milioni di copie, oggi, a stento, si arriva a 1,5 milioni. Oggi ci sono 40 milioni di italiani che leggono le notizie in rete. Le notizie che  trovano in rete e che commentano sui social sono  scritte, in gran da giornalisti professionisti pagati dagli editori. Solo che i soldi ce li fa Google.   Meditate gente…Meditate.C