di FRANCESCA RAPPOCCIO - L’attesa delle festività natalizie è tra i ricordi più dolci e incontaminati della mia infanzia.
Di quelli tanto attesi, lunghi un intero anno, che fa sobbalzare il cuore da bimbi nella speranza che il regalo ambito possa trovarsi nascosto sotto l’albero. E ciò vale, in realtà, ancora oggi per coloro che sono più che cresciuti.
Eppure quelli vissuti nelle case reggine hanno un sapore in più, un’atmosfera speciale che sa di calore, nella sacralità della tradizione.
E per descriverli non è necessario appellarsi a memorie lontane, poiché si materializzano puntualmente ogni anno.
I giorni di vacanza trascorrevano nel preparare con le matriarche quantitativi industriali di petrali, a friggere crespelle, a riscoprire vecchi menu da offrire al parentado riunito pensando di essere i migliori esperti nell’arte culinaria, unici ed inarrivabili. Srotolare tovaglie verdi per organizzare bische clandestine, in cui tutto l’albero genealogico vivente partecipava animatamente a stuppa, a sette e mezzo, e alle tombolate.
Esattamente ieri come oggi.
E non importa se crescendo si trasforma in un incubo, fonte inesauribile di stress, alla sola idea di incontrare parenti e affini, con cui durante il resto dell’anno si è cordialmente indifferenti.
No, non conta. È Natale. Le ritualità si mantengono giacché rincuorano e rassicurano le famiglie reggine.
E se al di la' del focolare la città è attraversata da rabbia, malcontento, contestazione, no… in questi giorni il malumore e i problemi non sono invitati nelle case reggine, restano fuori.
Saranno loro a cercarci.