Caro Mimmo Gangemi, quella frase non la vorrei mai usata

Caro Mimmo Gangemi, quella frase non la vorrei mai usata

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di MARIA FRANCO -

“Oggi icone antimafia rovinano nella polvere. Non compete a me dire se siano colpevoli – certo, su una pesa che abbia condotto le indagini un magistrato che non sbaglia un colpo. Se lo sono, marciscano in carcere.”

Sono frasi, queste, tratte dall’ultimo articolo di Mimmo Gangemi apparso su Zoomsud. Ed è chiaro che l’ultima vuole avere una carica letterariamente “retorica”. Accentuata dal “garantismo” delle frasi successive.


Eppure mi ha infastidito.

La stessa espressione appare spesso nelle discussioni da bar e in quelle “piazzate” cui si riduce talvolta quello strumento (per altri versi splendido) che è fb. Fa parte, cioè, d’un uso comune – quasi sempre da reazione istintiva e poco ripensata – che non vorrei mai leggere in un autore di altissimo livello, di quei pochi che, tra cento o duecento anni, saranno ricordati come la massima espressione della letteratura calabrese del XXI secolo.

Perché, se l’Italia ha condizioni carcerarie che l’Europa condanna assimilandole alla “tortura” (nel carcere per adulti; quello minorile non ha, fortunatamente, queste problematiche, anzi), è anche per quel “deve marcire in carcere” oppure quel “metterlo in carcere e buttare la chiave” che è sostrato di pensiero fin troppo comune e che gli intellettuali dovrebbero contribuire a modificare.

Le pene, dice la nostra Costituzione – se il titolo V va cambiato, il resto, soprattutto in certe parti, va difeso come il meglio della nostra plurisecolare civiltà– “ non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Se il colpevole va punito – e la pena deve essere certa e rapida perché ne va della giustizia – non va toccata mai la dignità della persona: ne va, in tal caso, la stessa dignità dello Stato, della comunità civile.

Quest’anno è potenzialmente pieno di “commemorazioni”. Che, come ben si sa, possono essere formali, rituali, inutili o possono essere occasioni di riflessione e di ampliamento del proprio orizzonte.

Per esempio, il centenario della Grande guerra o il trentesimo anniversario della morte del grande Eduardo De Filippo.


Ma è, anche, il 250 compleanno di “Dei delitti e delle pene”. Un’occasione d’oro per riprendere in mano l’opera di Cesare Beccaria.