IL DISAGIO. Volevo essere un duro. Leggere oggi: "Piccoli suicidi tra amici"

IL DISAGIO. Volevo essere un duro. Leggere oggi: "Piccoli suicidi tra amici"
Dopo diversi fallimenti alle spalle (tra cui un matrimonio), decidete di commettere il gesto supremo, scegliendo una corda e un posto tranquillo: un vecchio fienile appartato. Purtroppo trovate il posto
occupato da un tizio che era già pronto al suicidio e che, per lo spavento dell'arrivo vostro, scivola con il cappio al collo. Fortunatamente, voi lo salvate in tempo. Dopo vari convenevoli (“Ti sei fatto niente?”, Ma no figurati tutto bene, ero sovrappensiero”), entrambi passate molto tempo parlando del proposito comune che avevate in mente. Vi rendete conto che in quella regione il problema dei suicidi è molto sentito, mettete su un annuncio sul giornale per trovare altri disperati come voi bisognosi di aiuto, ma proprio a livello organizzativo. L'annuncio ottiene un grande successo, i due ricevono un gran numero di lettere e decidono di riempire un pullmino per realizzare “Piccoli suicidi tra amici”.

   Questo è più o meno l’inizio dell’omonimo romanzo dello scrittore finlandese Arto Paasilinna. Vi rovino il finale del libro: l’idea del suicidio collettivo crea un legame così intenso e autentico tra i vari personaggi,  che decidono che non vogliono più abbandonare la vita. 

Siamo in Calabria, terra dei mille tabù. Quante volte parliamo di idee di suicidio? Ve lo dico io, mai. Già facciamo fatica ad ammettere di stare male, perchè “volevo essere un duro”, per dirla con Lucio Corsi. Parliamo di suicidio solo quando purtroppo si realizza. E’ il caso di Francesco, 30 anni, figlio del senatore Mario Occhiuto, caduto dall’ottavo piano della sua abitazione a Cosenza.

   Siamo in Olanda, terra delle mille libertà. Esco per la prima volta con una ragazza che dopo due ore mi rivela: “Sai, a Maggio ho provato a suicidarmi”. Mi racconta i dettagli con le lacrime agli occhi: “Mia mamma dice che è meglio farsi tagliare una gamba che portarmi dallo psichiatra”. La vergogna. L’ho
provata anche io, che ho (non che sono) una malattia mentale. Va curata, come il diabete od ogni altra forma di patologia.

In Calabria, specialmente e nel Sud Italia in generale, siamo invisibilmente sotto pressione, lenta ma costante come una goccia che scava la pietra. E in più non possiamo ammettere che stiamo soffrendo. Gli amici ci invitano la sera a uscire, ma noi non vogliamo prendere i nostri psicofarmaci di fronte a loro? Diciamo loro che non possiamo, siamo a fare aperitivo. Abbiamo paura di essere fuori corso all’Università, di non trovare fidanzat-ina/ino o di non avere un lavoro dignitoso: come si misura il valore di qualcuno? In base alle cose che ha, non più a quello che è. Perchè se non valgo nulla, tanto vale volare da un balcone.

No, no e assolutamente no cazzo (e scusate il francesismo).

Anche se non valessi nulla, non sarei il solo a sentirsi così. Ma in quanti sono a sapere come ti senti veramente? Parla apertamente, scrivi pubblicamente. Ricordo bene quando scrissi su Facebook  della mia malatia psichiatrica.  Non proprio il massimo da fare, ma mi serviva in canale per liberarmi. Ho rievugto solo tanto ffetto ed esperienze simili (anche se in privato): pensavo di essere il solo ed invece.       
Giorni fa ho ascoltato una conversazione al telefono. In olandese. E purtroppo l'ho capita.  L'uomo parlava di salute mentale col suo medico. Elencando i medicinali che stava prendendo: erano esattamente uguali ai miei. Mi sono detto: della serie “piccoli suicidi tra amici”, facciamo rete in questo dolore. Perchè non cominciare da qui? Mi sono timidamente avvicinato e, chiedendo scusa per aver origliato, ho chiesto come si trovasse con la fluoxetina (Prozac, antidepressivo), la sua esperienza. Alla fine mi ha detto: "Grazie per esserti avvicinato. Provo vergogna. Certe volte mi guardo intorno, le persone, e penso di essere l'unico a stare male".

Come si dice in Calabria? Prima dal medico, poi vai da chi ha patito lo stesso.