CALABRIA VIOLENTA. Cassano, la strage nel paese di don Nunzio

CALABRIA VIOLENTA. Cassano, la strage nel paese di don Nunzio

autodi VITO BARRESI - Sopralluogo in un angolo oscuro del mediterraneo dove lo Jonio lambisce un teatro di puro horror, sconvolti sentieri di tenebre umana, prova suprema per solidi esorcisti preparati a svellere il crimine dalle mani orribili di cuori feroci.

 

Doveva essere un’altra domenica del tempo ordinario e invece ecco improvvisamente insorgere il resto in tragedia di una storia gotica, granguignolesca, quella in cui come Spiriti maligni, la paurosa tempesta dei delitti selvaggi che da decenni scuotono la Calabria, ha presentato i danni e il conto proprio qui, in agro di Cassano Ionio, il paese che è diocesi di don Nunzio Galantino, il vescovo assurto all’attenzione nazionale dopo che il Papa lo ha voluto accanto a sè, mettendolo in testa alla Chiesa Italiana, senza fargli lasciare vacante la propria sede.

Instagram d’immagini catturate e condivise dai servizi televisivi, uno di quei momenti del mondo e della vita in cui il caso di cronaca è messo al centro di un ricamo fitto e palpitante di commenti, ripetitivo e ossessivo fino a che finisce per prendere il sopravvento persino sulle parole bibliche della fede.

A Cassano allo Ionio fischia un vento di bufera mentre il Pollino sprigiona l’aria tersa e tagliente della sua riserva di gelo. Dai comignoli delle case tra Lauropoli e la vicina Corigliano, esce il fumo bianco dei camini alimentai ad agrumi. Tutto sempre naive, colore folklore locale, in questo luogo di magia e menzogne, mafia e sortilegio. Posti dove il fumo ha il sapore crudo della vendetta, la spirale dell’odio. La litania si spezza e a passi si sente il mormorio popolare che trasmette i bollettini di laconiche ricostruzioni: tre persone uccise e poi consumate su uno squallido ‘barbecue’, tre corpi scarnificati dal calore, ridotti a carcassa, scheletri infissi nel terreno per simbolo e monito.

Da uno è volata al Limbo l’anima di un bimbo, tre anni, nipote dell’uomo trucidato, un sorvegliato speciale di polizia, e con essi una giovane donna straniera, marocchina, della quale non si conoscono al momento le generalità.

Tra un passo di Isaia e una lettura dei Corinzi nella testa dei fedeli raccolti nella Cattedrale del centro calabrese adesso c’è solo un vuoto sgomento, un vento freddo di terrore, una paura sudata e imprecisa, per quel che si dice si è visto sulla scena del crimine, di lì raggiungibile a poca distanza, in contrada Fiego.

Rimbombano i passi dei Carabinieri, ringhiano i motori delle loro vetture, e si sente il colpo delle portiere che si rinchiudono, convocando tutti davanti a un cofano d’auto rimasto aperto come una bocca infernale, da cui ancora esala l’odore di corpi bruciati da fiamme implacabili. 

La strage scoperta nella terza domenica di gennaio riserverà pure risvolti da favola nera, sanguinaria, ma implacabilmente rimanda al contesto territoriale in cui da tempo avviene il ‘sequel’ di delitti della sibaritide ormai comuni in questa fascia del Golfo di Taranto, la costa liminare che sta tra la Calabria e la Lucania.

Sempre consumati all'interno di un cerchio maledetto, un contesto sociale degradato, aggredito dal mercantilismo e dal denaro sporco, accampamenti sempre ‘borderline’, scientemente scansati e talvolta cautelarmente abbandonati, il brodo di coltura di una risaia delinquenziale, in cui non c’è soltanto il vibrione della ‘ndrangheta, ma anche una subcultura delittuosa, familistica, atavica e barbara, precursore di terribili e mortali presagi.

Sesso, prostituzione, violenza, droga, denaro e azzardo sono gli ingredienti principali di un ulteriore delitto efferato, che si andrà man mano popolando di personaggi amorali, spacciatori, vicende losche e sordidi sfondi di vita marginale in un esterno di sud italiano.

Riscontri impressionanti di un terrorizzante nuovo immaginario criminale, tre cadaveri, l’autovettura bruciata parcheggiata dietro una masseria, piste sterrare di inquietanti transumanze umane ed animali.