L’ANALISI. La Calabria dei tre giorni di Africo Vecchio

L’ANALISI. La Calabria dei tre giorni di Africo Vecchio
africoV PREMESSA. Ho partecipato alle prime due giornate (letteratura e cinema) delle tre in cui s’è svolta l’iniziativa della Regione sul tema di una nuova narrazione della Calabria. Ho saltato, purtroppo, la terza, quella dei giornalisti, a cui tenevo molto perché trovo sempre stimolante il confronto coi miei colleghi (credo capiti a tutti i professionisti per le rispettive professioni).

UNO. Nelle prime due giornate è emersa una Calabria che molti sospettavano esistesse ma che vederla concretamente mentre parla, riflette e polemizza salta oltre le ipotesi più generose. Una Calabria creativa, ricca di possibilità e intuizioni, di spessore nazionale. Decine di scrittori, spesso di rilievo nazionale e molti, donne e uomini, che promettono di andare anche oltre le affermazioni già notevoli del carniere calabrese. Donne e uomini di cinema che hanno già avuto riconoscimenti nazionali e internazionali. Una realtà che, considerata la popolazione calabrese, testimonia che in quei mondi, strategici per la crescita grazie al loro effetto di traino, siamo collocati tra le punte medie ed alte del paese.

DUE. Nessuno, durante i primi due giorni, ha posto esplicitamente il problema del perché e dell’origine, ora e qui, di quest’ondata che, nel suo insieme, segnala un quadro nuovo e inedito. Siamo al manifestarsi di un fenomeno positivo che può spiegarsi solo ipotizzando spinte, suggestioni, pulsioni e accumuli di creatività diffusi da tempo nella società calabrese. Una positività emersa nonostante e contro le narrazioni unidimensionalmente negative, drammatiche e tragiche della nostra terra. La nascita e il crescere di un’ampia aggregazione culturale in un società non è mai un fenomeno fulmineo, improvviso e privo di radici lunghe e profonde. Anche in Calabria è maturata e cresciuta una positività potenzialmente significativa e capace di fare storia. Un fenomeno, quindi, che invita a riflessioni più attente di quanto fin qui percepito. Forse, non è vero che la Calabria è solo stasi e arretratezza, ‘ndrangheta, violenza, corruzione e selvaggiume. Forse, non siamo solo sporchi, brutti e cattivi. Forse, dietro i racconti (le narrazioni) esasperati da Fb e twitter iniziano a cadere e sono in parte già caduti fortilizi e casematte dell’arretratezza e della banalità. Ha fatto bene uno storico della levatura e del prestigio del calabrese Piero Bevilacqua (intervenuto come neoscrittore, la cui lettura mi permetto di consigliare, ma senza dimenticarsi del mestiere che fa) a bollare come grave errore pensare la Calabria come una terra immobile e senza storia.

TRE. Tutto questo è merito della giunta regionale? Certo che no. Siamo di fronte a un fenomeno più antico che non sarebbe potuto fiorire in nessun caso per indicazione politica perché fenomeno il cui svolgimento necessita di una libertà, anche individuale, totale. La creatività si sviluppa solo nell’autonomia. Non è un algoritmo. Merito della Giunta, casomai, è stato quello di proporre e organizzare un’iniziativa che ha consentito presa di coscienza e consapevolezza tra i protagonisti, che per la prima volta si sono incontrati in tanti per discuterne, e di riflesso nell’intera società calabrese. Onestà intellettuale vuole che si riconosca che tutto questo non è poco né era scontato. Si porrà ora il problema di fornire, continuando a tenere lontana qualsiasi tentazione strumentalizzante, ulteriori occasioni d’incontro fino a farle diventare una piattaforma solida di ulteriore e autonoma crescita di quanto abbiamo visto a Carrà di Africo Vecchio (anche per merito di quanti in quel pezzo di montagna, forse tra i più suggestivi dell’intero Aspromonte, con la testardaggine anticamente intestata ai calabresi, hanno creduto possibile il miracolo e l’hanno profetizzato fino a consentirne la realizzazione).

QUATTRO. E la nuova narrazione della Calabria? Le parole talvolta sono equivoche. Narrazione non sfugge a questo destino perché mescola racconto e altre suggestioni. Non a caso la parola s’è affermata originariamente in ambienti fortemente politicizzati e di parte che l’hanno proposta al resto del paese. A Carrà, ovviamente e per fortuna, nessuno ha chiesto, a parte qualche fuori-coro rarissimo e irrilevante, di raccontare una Calabria di comodo o di convenienza. Anche perché suggerire a degli artisti quali racconti e quali film fare è, ancor prima che ridicolo, inutile.

CINQUE. Resta però, irrisolto, un problema. Qual è l’immagine della Calabria che vive e continua a vivere nella testa degli italiani e perfino di una gran parte dei calabresi? L’ho già scritto nei giorni scorsi. La Calabria viene considerata (uso il titolo di un volume di critica letteraria di Pasquino Crupi) un’Anomalia selvaggia, un’isola inconciliabile con la civiltà contemporanea. E’ un’immagine corretta? La Calabria viene raccontata correttamente nelle sue criticità, nelle sofferenze e nello sforzo per crescere fino a raggiungere i punti alti della scienza e della tecnica del nostro presente storico?

Il presidente Oliverio intervenendo sul punto, dopo aver sottolineato le criticità della Calabria, in modo perfino aspro come fanno solitamente i calabresi per la preoccupazione di venire accusati di non essere sufficientemente credibili sul resto, ha sostenuto che il racconto – non la narrazione – della Calabria è molto spesso precostituito ed impastato di pregiudizi. E’ impossibile dargli torto. Capire il perché la Calabria sia considerata un’Anomalia selvaggia non è semplice. Il tema non è stato affrontato in modo diretto a Carrà. Ovviamente, i calabresi potrebbero anche tenersi un cattivo racconto e chissenefrega. Ma sarebbe un approdo superficiale e drammaticamente sbagliato. Perché l’immagine della Calabria s’intreccia al suo destino futuro: non solo non ne agevola sviluppo e crescita ma li frena pesantemente e li complica in modo insopportabile facendo pagare un costo altissimo a tutti i calabresi che dalle dicerìe sulla Calabria vengono isolati e indeboliti. I calabresi della politica (di tutta la politica), ma anche quelli delle professioni, dell’arte, dell’imprenditorialità e dei sindacati. Insomma, tutti i calabresi.

Oliverio ha chiesto un'operazione verità, cioè un racconto veritiero sulla Calabria. Ha fatto bene. Ma spero che il Presidente sia consapevole che non sarà facile ottenerlo fin quando non si capirà qual è il nodo che impedisce lo sciogliersi della matassa in cui la Calabria è imbrigliata. Senza questo passaggio temo che non si riuscirà a uscirne. Qua e là negli interventi, ma mai in modo organico, s’è ipotizzato che il nodo sia la ‘ndrangheta. Hic rhodus hic salta.

Ma qui, il vostro cronista si ferma. Dopo avere scritto alcune migliaia di articoli sulla e contro la ‘ndrangheta è arrivato alla ferrea convinzione che l’unico modo serio e non propagandistico (né interessato) di affrontare il problema del rapporto tra 'ndrangheta e Calabria sia quello di partire dall’interrogativo che viene rimosso e nascosto: perché la ‘ndrangheta dopo mezzo secolo dal suo emergere come fenomeno rilevante non è stata ancora sconfitta? 

P.S. Certo, sarebbe bello un convegno interamente incentrato su quest’interrogativo.