LA RECENSIONE. Cinquanta lettere di Zappone a Mario La Cava, curato da Santino Salerno per Città del Sole

LA RECENSIONE. Cinquanta lettere di Zappone a Mario La Cava, curato da Santino Salerno per Città del Sole

zappone

Le ‘Cinquanta lettere a Mario La Cava’’, a cura di Santino Salerno, edito da Città del Sole, sono lo spaccato del sud ma soprattutto di una difficile condizione di vita degli intellettuali meridionali e calabresi nel ventennio ’50-’70. Come ha argutamente sottolineato di recente un altro grande scrittore del Sud, Raffaele Nigro, ‘’c’è qui la descrizione di una società intellettuale aggrappata alle riviste e ai quotidiani a cui si affidano recensioni, stroncature, racconti, elzeviri, articoli di cronaca’’.

  Di cosa si tratta dunque? Le 50 lettere, in verità 46 mentre 4 sono solo delle minute, provengono dall’archivio dello scrittore di Bovalino dove il figlio Rocco custodisce il vasto patrimonio documentale del padre. Vennero scritte tra il 1950 e il 1976, la prima il 14 aprile del 1950. 

Domenico Zappone è stato un giornalista d’assalto ed un polemista instancabile ma c’è un dato che purtroppo manca per un’analisi completa sul rapporto tra i due in quanto dalla casa di Palmi di Zappone sono misteriosamente scomparse quelle lettere e quindi noi assistiamo non ad uno scambio di vedute ma ad un monologo di Zappone.

  Mentre Mario La Cava è uno scrittore in grande movimento anche fisico, alla ricerca di notizie e temi, Zappone è bloccato a Palmi e quindi ne viene fuori lo spaccato di uno scrittore di provincia costretto alle angustie quotidiane del vivere e del tirare e mantenere su la famiglia e di vivere in una terra che non aveva grandi quotidiani, come in parte avviene in verità anche oggi pur in una situazione profondamente mutata.

  Scrive Santino Salerno: così come La Cava è discreto, affabile, mite Zappone è plateale, chiassoso e a volte irriverente. Come La Cava è scrittore nel senso pieno del termine, Zappone ha il fiato corto, scrive solo articoli descrittivi.

Salerno conosce alla perfezione Zappone, un uomo allegro, ironico, combattivo, gioioso, ma di umore cangiante nonostante l’atteggiamento guascone, per una condizione di salute non eccelsa dopo essere stato ferito nel 1940 in guerra. I due si scrivono delle rispettive collaborazioni, alla Gazzetta del Sud come alla Nazione o al Gazzettino o alla Fiera Letteraria. I due insomma descrivono il panorama letterario nazionale dell’epoca. La Cava e’ un intellettuale aperto e aiuta gli altri intellettuali a trovare asilo: Moravia su Nuovi Argomenti ospita Saverio Montalto mentre Leonardo Sciascia trova spazio a Fortunato Seminara e a Giuseppe Malara.

  Sono quelli gli anni di Domenico Rea che vince il Viareggio e degli altri scrittori italiani che imperversano su giornali e riviste. A La Cava Einaudi pubblica libri mentre Zappone ‘’capisce che il limite e’ dentro di se’: non e’ attrezzato – scrive ancora Santino Salerno – a vivere i riti di una societa’ che insieme alle sue seduzioni ha i suoi veleni, le sue chiusure, le sue miserie. Egli e’ un nuovo arrivato in un mondo fatto di persone legate tra loro da amicizie lontane, da esperienze comuni, da frequentazioni, rapporti consolidati nel tempo e soprattutto un mondo che esige presenza, disponibilita’, efficienza e continue sovraesposizioni’’.

  A Roma Zappone vivra’ dunque come un isolato. Nelle lettere a La Cava emerge un sentimento di rancore e sfiducia verso Leonida Repaci, il grande concittadino palmese che e’ invece una voce autorevole nel mondo culturale romano. Da Repaci aveva inutilmente sperato aiuto e cosi’ il suo ritorno a Palmi e’ quasi un passo obbligato. Va spesso a Bovalino a trovare La Cava, cosi’ come da altri scrittori e saggisti calabresi.

  Il 29 marzo 1954 l’ultima lettera a La Cava per la nascita di Rocco e poi per Marianna l’anno dopo. Si conclude cosi’ il carteggio ma seguiranno altre lettere, due nel 1960, una del 1968, una nel 1970 e una nel 1975. Poi due nel 1976. Il 21 maggio scrive ‘’sto ancora male e soprattutto m’e’ passata ogni volonta’ e velleità’’. Ai primi di novembre pone fine alla sua vita.

  Questo carteggio, al di là ed oltre le ovvie distinzioni e carature dei due personaggi, mostra pero’ una cosa lampante che ancora oggi caratterizza la vita intellettuale della nostra terra: una condizione di isolamento degli intellettuali meridionali e calabresi i quali, lontano dal dinamismo culturale del centro e del nord ma anche delle storiche capitali del sud come Napoli o Palermo pagano con un surplus di fatica lo svantaggio della perifericita’.

   Il già difficile mestiere di scrivere diventa così, a volte, il più difficile mestiere di vivere.