IL RACCONTO. Il 25 aprile (e tutto il resto è noia!)

IL RACCONTO. Il 25 aprile (e tutto il resto è noia!)
‘’Questa nostra Repubblica non c’è stata donata su un piatto d’argento, ce la siamo conquistata noi dopo una lunga lotta di vent’anni contro il fascismo e dopo due anni di guerra contro il nazifascismo. Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Le dittature si presentano apparentemente più ordinate, nessun clamore si leva da esse. Ma è l’ordine delle galere e il silenzio dei cimiteri’’. Parola di Sandro Pertini. E potremmo finirla qui, se non fosse per i tanti ma, pero’, ora etc etc

Invece il 25 aprile è una cosa semplice se solo si vuole onorare la storia e non cancellare la memoria. Ecco intanto quello che accadde quel giorno: alle otto di mattina del 25 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che coordinava le operazioni militari delle formazioni partigiane, manda ai milanesi un messaggio che passerà alla storia. La voce di Sandro Pertini, che nel 1978 diventerà Presidente della Repubblica, incita dalla radio all’insurrezione generale contro i nazifascisti. Quel giorno Milano viene liberata e quella sera Benito Mussolini fugge dalla città, travestito da soldato tedesco, ma due giorni dopo viene catturato dalla 52esima Brigata Garibaldi all’uscita di Musso, a un chilometro da Dongo, sul Lago di Como, dove sarà processato e fucilato il 28 aprile.

Mario Calabresi ha lavorato ad un podcast in cui ha inserito questa storia che leggerete e che serve a far capire a tutti il valore di questo giorno. ‘’Questa – dice l’ex direttore di Repubblica e Stampa - è la storia del più giovane partigiano italiano, Franco Cesana, che a soli dodici anni scappò di casa, dopo aver detto che usciva a prendere il latte, per raggiungere il fratello e unirsi alla Resistenza. Solo due mesi dopo, a giugno del 1944, la mamma ricevette una meravigliosa lettera in cui Franco le raccontava la sua avventura. È una storia dolorosa e commovente, che ho scoperto grazie alla storica Liliana Picciotto che da anni alimenta il portale Resistenti ebrei Italia nel quale raccoglie testimonianze sul contributo ebraico alla Resistenza.

“Carissima mamma – scrive in una lettera il bambino partigiano - dopo la mia scappata non ho potuto darti mie notizie per motivi che tu immagini. Ti do ora un dettagliato resoconto della mia avventura: partii così all’improvviso senza sapere io stesso che cosa stavo facendo. Camminai finché potevo poi mi fermai a dormire in un fienile in località Osteria Matteazzi. Al mattino, svegliandomi con la fame, ripresi a camminare in direzione di Gombola, sfamandomi con le more. Arrivai a Gombola verso le nove e di lì cercai i partigiani, deciso a entrare a far parte di qualche formazione. Riuscii a trovare patrioti che mi insegnarono la strada per andare al Comando che si trovava a Maranello di Gombola. Arrivai nella detta località stanco morto, ma mi feci coraggio e mi presentai. Dopo un po’ mi si presentò l’occasione di entrare a far parte della formazione Marcello. Sei contenta? Presentandomi a Marcello, fui assunto e siccome ho studiato, fui dislocato al Comando e attualmente mi trovo stabile relativamente sicuro in una località sopra a Gombola. Così non ti devi impensierirti per me che sto da re. La salute è ottima; solo un po’ precario il dormire. Per chiarire un increscioso incidente, ti avverto che non ho detto quella cosa che mi hai fatto giurare. Così, chiudo questa mia, raccomandandoti alto il morale, che ormai abbiamo finito.
Affettuosamente ti bacia e ti pensa il tuo tesoro. Ti raccomando, appena ricevi la mia bruciala. Ancora ti saluto e ti abbraccio”.

Ciò che la mamma aveva fatto giurare a Franco, era di non dire mai, in nessuna occasione, di essere ebreo, essendo per lui doppio il pericolo: l’appartenere al movimento partigiano e l’essere ebreo. La lettera non fu bruciata ma chiusa in una bottiglia di vetro e seppellita, affidata dalla mamma alla terra, futura testimonianza su quanto avvenuto alla famiglia Cesana. Dopo alcuni mesi di silenzio, il 14 settembre 1944, Ada Basevi si vede comparire davanti il figlio, cresciuto, bello, sicuro di sé.  “Non piangere, mamma – gli dice, nel salutarla – ritornerò per il mio compleanno”. Il 20 settembre, infatti, Franco avrebbe compiuto 13 anni.

La sera dopo, nel corso di una missione con il fratello Lelio e altri partigiani, incontra un gruppo di tedeschi che, allertati da una spia, non esitano a sparare uccidendo Franco e altri quattro ragazzi. Mancavano sei giorni ai suoi tredici anni. Il comandante della formazione partigiana riuscirà a recuperare il corpo di Franco per portarlo alla madre proprio il 20 settembre, il giorno del compleanno.

Questo è il 25 aprile. Tutto il resto ancora una volta è noia.