1. Il ministro della cultura, membro della giuria del Premio Strega 2023, ha, il 6 luglio appena trascorso, dichiarato onestamente, ad una conduttrice televisiva, «Proverò a leggerli!» riferendosi ai libri per i quali aveva votato.
Le successive precisazioni e dichiarazioni del malcapitato («Li ho letti ma voglio approfondire!» «Sono stato frainteso!») hanno cozzato contro quel «proverò» che, come un inequivocabile lapsus, stava significare che lui ancora quei libri non aveva neanche iniziato a leggerli. Scandalo sui giornali, declinato ora come critica ora come difesa del ministro in questione.
2. Franco Mosino (Reggio Calabria 1932-2015) è stato, oltre che studioso di cultura classica e glottologia nonché lessicografo di rilievo nazionale. il calabrese più erudito del secolo scorso; siccome non gli mancava l'autostima, nell'autunno 2011 aveva avanzato, sostenuto da quattro professori universitari (due italiani, un tedesco e un giapponese), la sua candidatura al Nobel asserendo che l'Accademia Svedese avrebbe dovuto premiare non solo i letterati ma anche i saggisti.
Naturalmente l'autocandidatura di Mosino non andò da nessuna parte: «Io non vincerò il Nobel, perché gli svedesi da sempre non hanno voluto rispettare la lettera e l'ideologia dello Statuto, che accoglie tra i candidati i saggisti, mentre premia sempre gli scrittori di invenzione e fantasia.» (L. Amore, a cura di, Franco Mosino (RC 1932-20159 Sessant'anni di studi, Reggio Calabria, sd ma 2022, p. 118).
3. Mosino morì nel 2015: gli venne così risparmiata, dal tempestivo intervento della «Signora in nero», sia la premiazione a Nobel della letteratura del cantante folk americano Bob Dylan nel 2016 (per aver «creato una nuova poetica espressiva all'interno della grande tradizione canora americana») e sia la vicenda del premio non assegnato nel 2018.
In quell'anno l'affiorare di pasticci finanziari e le dimissioni di un gruppo consistente di giurati costrinsero l'accademia svedese a rinviare al prossimo anno l'assegnazione del Nobel per la letteratura.
Motivo? Un maneggione francese, tale Jean Claude Arnault, marito di una delle giurate (la poetessa Katarina Frostenson), altro che allargamento ai saggisti preteso dal màvro Mosino, passava il suo tempo a palpeggiare le donne, verosimilmente giovani, incontrate nei corridoi e nelle «aurate stanze» dell'Accademia svedese.
Diciotto di queste palpeggiate hanno scritto ad un giornale delle loro disavventure. Ma a mettere in crisi il premio Nobel per la letteratura 2018 è stata la notizia che il maneggione de cuius aveva addirittura venti anni prima osato manipolare, ea nolente, la principessa Vittoria ed erede al trono.
Intanto colpisce il lungo lasso di tempo intercorso tra quelle palpeggiate galeotte e principesche, non si conosce quale quarto o quale àndito delle regali carni sia stato interessato al sacrilego tastamento, e lo scoppio dello scandalo. Verrebbe da dire che se Palermo e Reggio Calabria piangono, per via dell'omertà, Stoccolma non può certo ridere.
E ci sarebbe da chiedersi se, magari a prezzo di qualche pettegolezzo monarchico, non sarebbe stato meglio che la cosa fosse stata resa nota in illo tempore; sicuramente il palpeggione sarebbe stato sputtanato subito e le decine di vittime successive, perché la ventina di denunce è la punta dell'iceberg anche in ambito real-nobel-iare, ne avrebbero beneficiato.
E forse sulle assegnazioni del premio Nobel per la letteratura ci sarebbero state meno ombre e qualche assegnazione ai saggisti ne sarebbe uscita fuori, come auspicava il compianto Franco Mosino, a spesa dei letterati amici di Arnault.
Il Medioevo, che il libri di storia considerano come un susseguirsi di secoli bui, prevedeva uno solo attastamento irrinunciabile: ogni eletto al soglio pontificio veniva, prima che venisse fatta fluire dal caminetto della Cappella Sistina la famosa fumata bianca, veniva controllato nello scroto e nell'annesso organo pisciatorio per controllare che fosse o meno di sesso non maschile. Ma di quel tocco l'incaricato era un monaco che, forse, non ricavava piacere alcuno come un appartenente qualsiasi al genere sessuale diverso dall'attastato.
Giudichino i lettori se dall'attastamento omosessuale medievale a quello eterosessuale dell'Accademia di Svezia ci sia stato un miglioramento o un peggioramento per le sorti della cultura universale.
4. Ma, palpeggiamenti e scandali economici a parte, rimane il fatto che i premi letterari sono diventati ormai veri e propri carrozzoni sostenuti per lo più con denaro pubblico, specialmente in Italia.
Nessuno però, nel mondo della cultura e della comunicazione, si decide a chiederne l'abolizione.
Ogni soggetto interessato (autore, editore, critico, giornalista, etc.) partecipa con entusiasmo al premio salvo poi, a babbo morto, criticare le scelte dei giurati.
I quali giurati, e giustamente, sono protetti dai regolamenti, fatti sottoscrivere ai partecipanti, che sanciscono l'insindacabilità delle scelte della preposta giuria.
Altrimenti, c'è da mettere la mano sul fuoco e fare la fine di Scevola, i premi sarebbero assegnati dai giudici e dopo controversie pluridecennali.
5. Rimane il fatto che se i giurati dei premi letterari non leggono i libri in concorso, specie quando si tratta di un numero ristretto di volumi già passati al vaglio di altri spezzoni di giurie come il caso del premio Strega, non possono essere presi ad esempio di probità culturale e non possono accampare scuse di sorta.
6. Alcuni anni fa, al premio letterario intestato a uno dei più grandi scrittori calabresi del secolo scorso e pagato con il contributo di un comune di fascia jonica reggina, capitò che a metà luglio scadesse il termine per inviare i libri e che il voto della giuria fosse previsto per i primi giorni di settembre. Forse i giurati, o forse non so chi, chiesero un rinvio di un paio di mesi motivandolo, magari, col fatto che le ferie sono un diritto dei lavoratori e non debbono essere ipotecate da forzose letture.
Sicché, rinviata a settembre la scadenza ed arricchitasi di qualche decina di autori la lista dei partecipanti, a metà novembre vennero resi noti i vincitori.
Naturalmente la giuria era degna di ogni rispetto: il presidente era un calabrese cattedratico e tra i membri vi era anche una giornalista forse cattedratica anch'essa.
7. Non sappiamo se il regolamento del premio de quo avesse previsto il differimento né se nella triade dei premiati ci fosse qualcuno che ha inviato i suoi prodotti dopo la proroga del termine.
Certo è che il libro vincitore era stato pubblicato da una casa editrice nazionale, settentrionale, che aveva pubblicato alcuni volumi del presidente cattedratico. Ma queste sono cose che succedono nei premi letterari del centro-nord della nostra mal rappresentata patria.
Qui da noi l'onestà è la regola, anche nei premi letterari.