Guerra e Pace, oggi. Perché parlarne ancora? La risposta è nelle cose. Nello smarrimento incredulo che suscita il rischio di una guerra nucleare. nel sentimento di radicale impotenza di fronte all’enormità dell’evento. C’era già stata una prima volta. Cuba, 1962. Un altro mondo, un’altra età. Altri statisti.
Tra le tante occasioni che hanno accresciuto in me questo sentimento di inadeguatezza non c’è un raffinato saggio sulle ‘eterne’ ragioni della guerra. Ma un fulmineo scambio di battute nel corso di una trasmissione televisiva tra la corrispondente italiana del Financial Times e un noto filosofo veneziano. La miccia che ha acceso lo scontro è un twitter nel quale la giornalista sosteneva che “quelli che argomentano che l’invasione è un crimine ma l’Occidente ha sbagliato nei confronti della Russia” le ricordano “quelli che di fronte a uno stupro si focalizzano sugli indumenti indossati dalla vittima”. E che non c’è dubbio che l’Occidente stia dalla parte del bene e la Russia da quella del male.
Chiacchiere che allontanano dalla soluzione diplomatica della guerra. Il binario codice bene/male, ha seccamente replicato filosofo, non ha niente a che vedere con la politica ed è solo il frutto dell’ignoranza della storia. La polemica, nell’imbarazzo della conduttrice del programma, si è chiusa lì.
°°°
Queste diverse e antitetiche rappresentazioni del tema avanzano la pretesa di essere risolutive. Lungi dall’avermi illuminato, accrescono la mia inquietudine. Confesso di aver passato una notte insonne a cercare di capire perché non riuscivo a riconoscermi nelle muscolari parole della giornalista, né nella replica del filosofo. Nella ‘fattispecie’ dell’ignavo e complice ammiratore di stupratori, ma nemmeno in quella delle chiacchere del tifoso da bar.
Continuo ad avvertire la siderale distanza tra le opposte interpretazioni con cui opinionisti e maitre a penser leggono dai loro comodi salotti televisivi e dalle loro eleganti biblioteche gli eventi bellici. Le passioni, le sofferenze e le speranze di combattenti e civili in carne ed ossa che stanno sul terreno in nome della loro patria, cercano salvezza nelle armi o nei rifugi, fuggono dalla paura.
°°°
Ha scritto Luigi Alfieri, in un acuto libro dal titolo La stanchezza di Marte, che c’è un abisso incolmabile tra la guerra come esperienza, esperienza di morte propria e altrui, e qualsiasi teoria della guerra. La guerra non è mai innocente, è un evento indicibile in qualsivoglia linguaggio se ne voglia edulcorare o giustificare il carattere tragico, estremo, ultimo.
Dobbiamo saperlo, dobbiamo dircelo ad alta voce. Non dobbiamo mai dimenticare che in guerra si tratta, osservava Elias Canetti, di uccidere, le parole più semplici e risolutive mai dette sulla guerra. E, aggiungo, da parte mia, una politica che non sa assumere in sé questa “nuda verità” è tutt’altro che una Politica con la P maiuscola. È una politica in fuga da sé stessa.
°°°
Se mai la guerra è stata la “continuazione della politica con altri mezzi”, la guerra attuale rischia di essere la continuazione, con altri mezzi, di una fuga dalla politica. Il ragionamento deve prendere le mosse dalla guerra di Putin. Sono giorni che la Russia fa piovere bombe sui suoi compagni di strada e di sangue. È guerra, dichiarata tra Stati e anche “guerra civile”, guerra tra fratelli, come ha ricordato Isidoro Mortellaro in un saggio dal titolo La guerra sulla pelle.
La narrazione del Presidente russo non lascia adito a dubbi. È una narrazione che dichiaratamente mette sul banco degli ‘imputati’ l’eredità della Russia sovietica. Di quella Russia che, comunque la si giudichi, ha storicamente e politicamente provato a fare i conti con l’Europa, con la modernità europea. Ne ho già parlato in Morire per Kiev, ma conviene tornarci.
°°°
Già in un discorso del 12 luglio 2021, Putin aveva tracciato la linea rossa che apriva, legittimamente dal suo punto di vista, l’esercizio del diritto alla guerra, anche preventiva. Non accetteremo mai, dice a chiare lettere, che la rivendicazione dell’identità nazionale statuale dell’Ucraina scivoli in una inaccettabile rappresentazione dell’Ucraina come Anti-Russia.
Per sostenere questo imperativo Putin riscrive l’intera storia delle popolazioni russe e ucraine, prendendo le mosse dalla Rus’ di Kiev, primo stato degli slavi orientali, descritto come dotato di un’unica identità etnica e religiosa da cui discendono russi, bielorussi e ucraini. Chi ha infranto l’unità spirituale della “grande nazione russa sono stati nell’ordine, per il presidente russo, la Polonia e l’Austria-Ungheria. Ma sono stati, soprattutto, i bolscevichi. Fu proprio la politica nazionale sovietica, sottolinea Putin, che consolidò a livello statale la divisione tra i popoli slavi, russo, ucraino e bielorusso, del popolo uno e trino.
°°°
Putin parla anche alla sua nazione, ne radicalizza alcuni sentimenti, ne umilia altri. Questa è l’ideologia del Presidente Russo non fa alcun mistero di coltivare l’Idea di una Russa post sovietica come contenitore di proposte conservatrici funzionali a un disegno patriottico di sovranità, di autocoscienza nazionale, di riaffermazione di grande potenza sullo scenario globale.
Putin non vuole restaurare l'Urss. Vuol far risorgere l'impero russo pre-1917. Ma la grande maggioranza dei commentatori sembrano non saperlo. Sono troppo impegnati a rimuovere gli errori dell’Occidente, le ferite inferte alla Russia e all’ordine internazionale. È doveroso, invece, ricordarle, come fa l’inequivocabile sequenza raccontata da Mortellaro nel saggio citato.
°°°
Con Gorbaciov per la prima volta un impero prova a non suscitare guerre, pur vedendo messa in discussione la sua esistenza. Al G7 di Londra del 1991 Gorbaciov chiede aiuto per una inedita transizione: la sua mano tesa non è stretta da alcuno. I Grandi lasciano cadere ogni prospettiva di collaborazione nel domani indeterminato di un futuro mutamento di sistema. In risposta arriva il Golpe di agosto. Archiviata la mutazione, Eltsin accantonerà Gorbaciov e l’Urss. Vi riuscirà, grazie alla scelta di gran parte della nomenklatura sovietica di salvarsi. Mettendosi in affari, provando a perpetuarsi in oligarchia.
Nasce la Comunità degli Stati Indipendenti con l’esclusione di Lettonia, Lituania ed Estonia che sul Baltico riconquistano a distanza di oltre mezzo secolo l’indipendenza. Nascono Federazione Russa, Ucraina e Bielorussia, figlie di un parto plurigemellare attivato dalla dissoluzione dell’URSS.
°°°
In Europa intanto scoppia il bubbone jugoslavo, degenerato presto in guerra civile. Ad alimentarlo divisioni e egoismi degli europei, incapaci a Maastricht di andare oltre la prefigurazione di una Europa orientata dalla moneta unica, ma priva di una visione del mondo. L’ignavia europea permetterà di lì a qualche anno di dare pieno riconoscimento alla profezia-promessa lanciata dal segretario di Stato americano, James A. Baker III, all’indomani della caduta del Muro: “Gli USA sono e rimarranno una potenza europea”. Saranno i bombardamenti, in Bosnia e in Kosovo, a dare nuovo lustro all’Alleanza Atlantica e al suo cuore militare, la Nato, nel cuore della nuova Europa.
Nasceva così nel cuore d’Europa l’attrattore potentissimo della Nato. Una calamita, amministrata con grande sapienza dagli USA e con somma negligenza dagli europei. È da lì che la Nato entra nel XXI secolo e si espande in un vortice di allargamenti continui. Avevano cominciato Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria nel marzo 1999, ma è dopo l’11 settembre che i movimenti si fanno convulsi e continui fino ad inglobare altre 11 repubbliche tutte ad Est. Un mondo intero ripudia il vecchio controllore per cercare sicurezza nell’entità diabolicamente esecrata per quasi mezzo secolo.
°°°
È in questo quadro che Putin ha sospinto il pianeta sull’orlo di un precipizio. Il pericolo è grande anche per la stessa Russia. Come reggere un’impresa e una occupazione militare che potrebbero rilevarsi ben più dure e devastanti di quelle in Afghanistan? Come reggere l’effetto delle sanzioni? L’interrogativo forte volge all’Europa. Può molto, osserva ancora Mortellaro. Ma lo farà? Riuscirà? Invierà aiuti, sicuramente. Ma come? Ed è sufficiente?
°°°
Siamo di fronte ad una guerra costituente, con tutto il carico tragico che hanno le guerre costituenti. Di questa verità possiamo farci carico in due modi. Quello miope di chi pensa che è giunto il momento di mettere i guantoni con la paranoia di Putin (più Nato, più armi) e di fare terra bruciata per sempre con la Russia. Quello autenticamente politico che accetta la sfida di scrivere una nuova costituzione per l’Europa nel segno dell’autonomia del vecchio Continente.
Ma cosa significa scrivere oggi una nuova costituzione per l’Europa nel segno dell’autonomia del vecchio Continente? Significa che l’adesione dell’Ucraina all’Ue non va perseguita in chiave anti-russa, ma come garanzia che l’atlantismo non sarà il Dna della nuova Ucraina. Il mio auspicio è che a spiegarglielo non sia qualche potenza extra europea, ma l’Unione.
°°
L’Europa non può limitarsi a dire agli ucraini che non vuole la no fly zone perché così salviamo il resto del Vecchio Continente dai massacri, dalla distruzione, dalla catastrofe. Non funziona così. Chi grida “libertà o morte”, chi sente di combattere per una causa giusta, interpreta il realismo del male minore come opportunismo. Chiacchera da salotto per esperti cultori di geopolitica e di geo economia. Una forma di cinismo e di fuga dalle responsabilità della politica.
La politica con la P maiuscola è l’arte del possibile e, allo stesso tempo, dell’impossibile. È l’arte del sin qui impensato, di una Unione autonoma dalle gabbie dell’atlantismo che parla con una propria visione del mondo. È questa la garanzia più autentica e duratura di libertà e prosperità per il popolo ucraino.
Le classi dirigenti dell’Unione saranno all’altezza di questo tornante della storia? Il pessimismo dell’intelligenza suggerisce di dire no. Non bastano le sanzioni economiche, non basta l’“orgogliosa” decisione dell’Ue e della Germania di finanziare per la prima volta l’acquisto e la cessione di armi a un Paese sotto attacco in Europa, se questa decisione resta un isolato e velleitario gesto, se non è rappresentato come il primo mattone per la costruzione di un’Europa autenticamente sovrana. L’ottimismo della volontà suggerisce di rispondere di sì. Di scommettere che le risorse emotive che sono in campo in tante piazze e in tante iniziative di solidarietà siano capaci di pensare l’impensato, di fare diventare l’impensato una pratica concreta di popoli e Stati.
°°°
L'Europa comprenda bene - condivido quanto detto dal filosofo veneziano su La Stampa dell’8 marzo - le richieste irrinunciabili di entrambe le parti e offra il tavolo per un solido accordo tra Ucraina e Russia che porti al cessate il fuoco e alla possibilità di immediati ed efficaci interventi umanitari. Il passo successivo, il progressivo ritiro militare russo, avvenga sulla base di un accordo in cui, a fronte del pieno riconoscimento russo dell'integrità e sovranità dell'Ucraina, l'Unione decide di allentare le sanzioni più pesanti. A questo punto L’Ue in quanto tale, e non la Nato, affronti la questione della "collocazione" geopolitica dell'Ucraina. E l'Ucraina, sostenuta da massicci interventi europei per la sua ricostruzione che preludono al suo ingresso nella Ue, riconosca innanzitutto la sovranità russa sulla Crimea e codifichi nella sua Costituzione una neutralità che escluda l'istallazione di armi strategiche e missili sul suo territorio.
Questa è oggi la declinazione in grado di mettere in forma la guerra, di collocare il tragico conflitto in corso in un orizzonte di stabile e duratura pacificazione. Di interpretare la domanda di libertà del popolo ucraino e, allo stesso tempo, la domanda di sicurezza della nazione russa. L’occasione concreta per l’Unione per spiegare cosa intende per autonomia strategica, per affermarsi nella realtà come grande e giusta potenza. Altrimenti sarà, come a Maastricht, come a Lisbona, come nel dopo Lisbona, l’ennesima fuga dalla politica.
*ordinario di diritto costituzionale, università Urbino