E’ stato un intervento perfetto quello con cui Di Maio ha rottamato sogni, illusioni e progetti propalati per anni dai 5s. Parole chissà quante volte scritte, corrette e riscritte insieme ad altri, per concludere che il M5s è finito, non c’è e non ci sarà più. Anzi, non c’è mai stato come possibile soluzione dei problemi dell’Italia, più complessi di quelli immaginati da Casaleggio e Grillo. Ma invece di concludere “mi ritiro”, Di Maio ha chiuso lo studiatissimo intervento tentando un aggancio a Draghi e al “Draghismo” che molti immaginano possa essere la carta vincente del futuro politico nel paese.
Poche ore dopo anche Calenda, uno dei più radicali e irriducibili avversari del M5s, ha precisato la sua strategia politica per l’avvenire: recuperare e vincere col Draghismo e affidare a Draghi in persona la direzione del prossimo governo dopo le elezioni del 2023. E’ per questo progetto che Calenda chiede più voti.
Se si sposta lo sguardo un po’ più a Nord dove c’è il sindaco di Milano Giuseppe Sala, si scopre che anche lì si sta tendando un’aggregazione, più ampia del centrosinistra (Sala, Verde europeo è sindaco di centrosinistra). Il sindaco di Milano non guiderebbe questo progetto che si potrebbe intestare a Draghi per il dopo elezioni del ’23).
Al di là dei sommovimenti delle ultime ore, bisogna prendere atto che è ormai da parecchio tempo che una parte della politica italiana, non soltanto di sinistra o di centro (da Calenda a Renzi), ma anche di centrodestra (si pensi ad “Italia al Centro” di Quagliarello, Mastella e Toti), guarda a Draghi e al “Draghismo” come a una risorsa strategica per la ripresa di un paese che è in crisi e il cui sistema politico e partitico sembra alla vigilia di un collasso che s’immagina di poter evitare grazie a Draghi. Unica eccezione dichiarata rispetto a quest’ipotesi è quella di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che punta a diventare leader del primo governo (col primato della prima volta per una donna).
Ma esiste veramente il “Draghismo” ed è possibile che un partito italiano se ne appropri facendone il cuore della propria ripresa politica ed elettorale fino a vincere le elezioni? Al momento l’unica cosa certa è che Draghi, nei sondaggi, è titolare di un consenso molto alto. I sondaggi possono cambiare ma il consenso di Draghi sembra molto stabile e non ha subito significativi scostamenti nei momenti più delicati della sua esperienza politica, come le elezioni presidenziali e la gestione del governo dopo l’inizio della guerra. La seconda cosa, non certa ma molto molto probabile, è che Draghi non farà mai un proprio partito, né darà indicazioni di voto per un suo presunto partito o questo o quel partito a lui più vicino. Il quadro è quindi questo: nel paese, favorito dalla crisi dei partiti italiani, è possibile ipotizzare un’area politica Draghiana, cioè molto vicina alle posizioni politiche e culturali di Draghi, ma è un’area che nessun partito può intestarsi (anche se in molti iniziano a mandare messaggi sostenendo di essere i draghiani).
Ed è proprio qui che s’innesca una complessità politica che per nessun partito sarà facile superare. Il voto del partito Draghiano, che abbiamo ipotizzato presente nella società italiana, si riverserà al partito o ai partiti che verranno autonomamente avvertiti dagli elettori come partito/i di Draghi.
Insomma, diventerà partito di Draghi, assorbendo consensi importanti, non quello che si autoproclamerà ma la forza politica scelta dagli elettori perché avvertita la più vicina all’attuale presidente del Consiglio.
In questo quadro, il favorito potrebbe essere il Pd di Letta, quello che più coerentemente e ininterrottamente ha fin qui sostenuto il governo Draghi. Ma ad una condizione di difficilissima realizzazione: liberarsi di Conte e di ciò che è rimasto dei 5s che invece si appiccicheranno al Pd per sopravvivere alla scissione di Di Maio. Per Letta non sarà un’operazione facile smontare il Campo largo passando rapidamente a un partito “centrale” che tenga insieme il centro frastagliato e diffuso che esiste ne paese, le spinte della sinistra italiana e i rimasugli dei 5s. Servirebbe un Pd, come ha spiegato ieri Cacciari sul Dubbio in una lucida intervista a Giacomo Puletti, che il Pd riuscisse a garantire “governabilità, stabilità e affidabilità internazionale”. Anche perché per il filosofo veneziano: “Tutto il resto non avrà lunga vita”.