ANTIMAFIA. Attenti che il rimedio non sia peggiore del male

ANTIMAFIA. Attenti che il rimedio non sia peggiore del male

borsellino-con-sciascia      di NICOLA FIORITA* - Come si fa a non essere d’accordo con Aldo Varano e Filippo Veltri quando denunciano la crisi profonda dell’antimafia calabrese, la debolezza delle sigle che compongono questo campo, la stucchevolezza dei mille convegni in cui si trascinano gli studenti per le aule, si presentano libri su libri e alla fine, come direbbe Ulderico Nisticò, archiviati gli applausi di rito ci si prepara felici e immacolati alla cena di gala?

Eppure occorre. Occorre dissentire, almeno in parte, dal loro invito a rigenerare l’impegno civile affidandosi al suo spontaneismo e, contestualmente, azzerando ogni forma di finanziamento pubblico in favore di “associazioni antimafia, musei, radio progetti, iniziative culturali, festival per premiazioni e l’intero circo fantasiosamente costruito con quattrini pubblici”.

Occorre dissentire, almeno in parte, per evitare il rischio che con l’acqua sporca si butti via anche il bambino, che di tutta l’erba si faccia un fascio e che, per utilizzare un ultimo proverbio, il rimedio sia peggiore del male. Hanno ragione Varano e Veltri in quasi tutto quello che scrivono, hanno ragione nel sostenere che la cultura della legalità non si autocelebra, che le azioni concrete contano e i convegni no, che l’antimafia calabrese è diventata non credibile, maleodorante, inquinata, quasi come quella mafia che intenderebbe combattere.

Eppure, penso che l’eliminazione dei finanziamenti pubblici risolverebbe solo in parte il problema della strumentalizzazione della lotta alle organizzazione criminali (resterebbero sul campo il narcisismo di alcuni, la costruzione di fortune elettorali, le ricadute commerciali del protagonismo mediatico) mentre colpirebbe mortalmente l’impegno sincero di tanti altri.

Credo cioè che occorrerebbero più e non meno finanziamenti pubblici per sostenere l’azione di chi lavora i terreni confiscati alle mafie, per moltiplicare gli sportelli antiracket, per innescare processi di formazione efficace dei giovani e finanche per premi e concerti. Credo, soprattutto, che il vero problema non sia l’erogazione di un finanziamento pubblico ma il controllo del suo impiego e dei risultati che esso raggiunge, allo stesso modo in cui credo che avremmo bisogno di più magistrati per sconfiggere la mafia ma che non sconfiggeremo mai la mafia se non si sarà in grado di controllare adeguatamente l’operato di quegli stessi magistrati e di evitare che essi utilizzino in maniera distorta e autoreferenziale il proprio potere.

Controllo e responsabilità sono le due parole chiave che non possiamo eludere se vogliamo evitare la strumentalizzazione non solo dei finanziamenti pubblici ma di ogni intervento statale. Controllo e responsabilità, lo so bene, sono i due punti deboli di tutto ciò che è pubblico nel nostro Paese. Così come so bene che più risorse pubbliche significherebbe più avventurieri, più conferenzieri dalla parola alata, più storie taroccate, ma se non siamo in grado di discernere tra chi vuole una società migliore e chi vuole un conto in banca migliore allora tanto vale rinunciare, arrendersi definitivamente. Perché non sarà la generosità a sconfiggere la mafia. Non da sola.

*Docente università della Calabria