di MASSIMO ACQUARO - Demetrio Arena ha ragione, purtroppo; ed ha torto, purtroppo. Ha ragione quando, con un certo ritardo, dice che la legge sullo scioglimento dei consigli comunali serve a poco o a nulla e che praticamente in nessun posto ha eliminato la mafia dalle istituzioni. Ha torto quando invoca di mettere in soffitta l’antimafia dei convegni e delle passarelle cui hanno dato un largo, se non decisivo, contributo proprio Scopelliti e i suoi.
Come dimenticare la battaglia, vinta, per avere simbolicamente a Reggio l’Agenzia dei beni confiscati? Come dimenticare le associazioni spuntate come carciofi in città, spesso in transumanza dalla Sicilia, che hanno drenato denaro, organizzato convegni costosissimi, spostato decine di persone in giro per l’Italia a presentare libri, promuovere personaggi, rastrellare consenso?
Tutto questo era parte integrante del modello di gestione del consenso messo in piedi dall’(ex) governatore Scopelliti in piena adesione alle posizioni di Alfano a livello nazionale. Demetrio Arena polemizza con la legge che scioglie i comuni per mafia, ma non ricorda che quella legge (così dura per Arena & co. al punto da averne determinato il “licenziamento” da sindaco e l’incandidabilità), a volerla così severa sono stati due ministri del governo Berlusconi: Maroni e, guarda caso, Angelino Alfano che, scherzi del destino, l’ha poi applicata implacabilmente su Reggio con la proroga dello scioglimento.
Non si può infine dimenticare che proprio quando Alfano coprì la poltrona di ministro della giustizia partì da Reggio l’iniziativa per introdurre nel codice penale il termine “ndrangheta”, pensando così di dare una sorta di “riconoscimento” ufficiale alle cosche calabresi ed a quelli, Amministrazioni locali con finanziamenti e targhe “qui non entra la ‘ndrangheta” comprese, che le combattevano.
Scopelliti e Arena hanno scherzato con il fuoco. Come tutti gli apprendisti stregoni hanno immaginato di poter tenere sotto controllo gli alambicchi che maneggiavano. Ma, alla fine, entrambi hanno pagato un prezzo altissimo per vicende che ora si lamentano che forse in altri luoghi non avrebbero avuto tutte queste conseguenze. Scopelliti paga un costo enorme. Gli è stata comminata una pena severa, esemplare per fatti che, sulla base dei reati che gli sono stati contestati, forse non sono accaduti solo a Reggio. Se a Messina, a Napoli, a Roma si dovessero, giustamente, applicare i medesimi criteri forse cadrebbero un mucchio di teste coronate della politica nazionale. Arena, a sua volta, paga di non aver fatto nulla per mandare fuori da palazzo San Giorgio le cosche di ndrangheta. Un’omissione grave, ma chissà cosa è successo a Palermo, a Catania, a Napoli, a Bari? Chissà se anche lì i sindaci si sono dati da fare per mandar fuori i clan, oppure lì non ce ne sono?
Questo non vuol dire che siano tutti innocenti. Tutt’altro. Può darsi che la severità subita da Scopelliti e da Arena fosse pienamente meritata. Non è questo il problema. Osservo semplicemente che loro hanno potentemente agito per determinare il clima, l’humus, le condizioni in cui tutto ciò è accaduto. Reggio langue nella spazzatura e nelle dure campagne giornalistiche che la fanno a pezzi.
Arena e Scopelliti possono, piuttosto che lamentarsi, fare qualcosa per spezzare questo sortilegio. Approvino una legge regionale che vieta ogni contributo alle associazioni antimafia di propaganda e destinino quelle somme alle associazioni di volontariato che assistono i bisognosi e gli emarginati. Su questo giornale lo hanno già proposto persone autorevoli. Ora, e per qualche altro giorno ancora, potrebbero farlo.