Sud e Manovra. Non è una svolta ma un'occasione mancata

Sud e Manovra. Non è una svolta ma un'occasione mancata

il sud1    di ISAIA SALES -

Neanche questa volta il Mezzogiorno è entrato da protagonista nella manovra economica del governo. Come negli ultimi venti anni. Eppure ci avevamo creduto, e in tanti. Indubbiamente i segnali per essere fiduciosi c’erano tutti. Il premier Matteo Renzi, ma anche i suoi ministri più autorevoli, a partire da quello dell’Economia, Pier Carlo Padoan, avevano confermato l’intenzione con la legge di stabilità di operare davvero una svolta nelle politiche pubbliche verso il Mezzogiorno.

E così nelle settimane scorse tutti i giornali nazionali, avevano ospitato anticipazioni (provenienti proprio da ambienti governativi) in cui si parlava di diverse opzioni in discussione a palazzo Chigi: credito di imposta per le aziende meridionali, anticipazione di una riduzione delle tasse alle imprese già nel 2016 (estesa solo nel 2017 al resto del Paese) decontribuzione riservata solo alle assunzioni nel meridione, o prevista in misura doppia rispetto al Centro-Nord.

In tanti pensavamo che se un governo italiano, nel varare la manovra economica annuale, si ricordava di avere qualche debito aperto con il Sud, ciò era sicuramente una buona notizia e una novità rispetto al recente passato. Qualunque misura fosse stata approvata, al di là del valore da attribuire a ciascuna di esse, comunque si sarebbe trattato di un passo avanti. Negli ultimi giorni addirittura si dava per certo che tutte e tre le misure prospettate sarebbero entrate nella manovra. Ciò non è avvenuto. Nessuna di queste misure è parte della strategia economica del governo Renzi per la ripresa economica dell’Italia.

Cosa pensare? Cos’è successo per capovolgere questa aspettativa alimentata a iosa da tutti gli esponenti del governo e dal principale partito che lo sostiene? Possibile che non ci si renda conto che giocare con le aspettative di un terzo dell’Italia può essere disastroso per il consenso al governo e, di conseguenza, allo stesso Pd? O si è ritenuto, al contrario, di fronte allo scontro di interessi che si sarà manifestato tra ministeri e diversi consiglieri economici, che non era grave disattendere quello che era stato promesso al Sud e alla fine non così compromettente per il consenso del governo rispetto a ciò che si guadagnava con altre priorità?

L’ottimismo sui contenuti meridionalistici della manovra non era fiorita nel deserto, o solo negli ambienti politici: era il frutto anche di una ripresa di attenzione verso le sorti dell’economia e della società meridionali dopo lo shock che i dati forniti a luglio dalla Svimez aveva prodotto nell’opinione pubblica italiana. Si è svolto per tutta l’estate un interessante dibattito sulle condizioni di questa parte dell’Italia, con toni fortemente diversi da quelli razzistici del recente passato. Per la prima volta dopo decenni si è assistito a una preoccupazione nell’opinione pubblica nazionale, che cominciava ad interrogarsi in maniera più seria se il disastro dell’economia meridionale non compromettesse anche le prospettive economiche del Nord.

E tale cambiamento lo mostrava plasticamente un sondaggio della Swg per l’Unità pubblicato poche settimane fa: il 63% degli intervistati si dichiarava d’accordo sul fatto che lo Stato debba investire di più nel Sud, e oltre il 40% riteneva che il Nord non sia l’unico motore dell’economia. Un fatto inaspettato fino a poco tempo fa. Insomma sembrava che il governo volesse mettersi in sintonia con questi cambiamenti e rompere quell’indifferenza che aveva caratterizzato anche i governi del centrosinistra italiano.

D’altra parte il vecchio argomento che fornendo più risorse al Sud si sarebbero alimentate solo le mafie e la corruzione si era abbastanza logorato: gli scandali che avevano preceduto l’Expo di Milano avevano coinvolto a più riprese i vertici della Regione Lombardia (guidata da un esponente di primo piano del partito che di quella accusa ai meridionali aveva fatto il suo principale argomento). E proprio nei giorni che hanno preceduto la manovra economica, l’arresto del vice di Maroni, Mantovani, la dice lunga delle sciocchezze dette in questi anni e diventate un mantra della politica italiana.

Renzi poteva mettere fine al lungo ventennio nel quale i governi nazionali sono stati caratterizzati quasi esclusivamente da interessi politici ed economici centro-settentrionali, al ventennio dominato dal tema della divisione territoriale ammantata di federalismo, al ventennio nel quale per giustificare questo dominio (una specie di vera e propria dittatura sull’opinione pubblica nazionale) si è calcata la mano come non mai sul tema dell’inefficienza e del malgoverno meridionali.

Con questa manovra, invece, si conferma l’andamento degli anni passati. Per il Sud ci sono solo i fondi su alcune opere infrastrutturali, in attesa del masterplan annunciato da Renzi, che conterrà anch’esso patti con le Regioni su progetti specifici ma non ancora un quadro di regole in grado aprire la prospettiva del pieno coinvolgimento del Sud nel motore dell’economia italiana. Di questo bisogna prendere atto. Che Renzi non voglia rottamare il lungo ventennio dell’antimeridionalismo? Oppure che non sia in grado, o che non abbia ancora tutta la convinzione per farlo?