DUE. Ma su questa storia e sul suo significato diventa difficile seguire l’editorialista del Corsera. Secondo la sua ricostruzione il disastro, dopo una parentesi di riscatto e di riavvicinamento tra Nord e Sud improvvisamente spezzatasi negli anni 70, sarebbe stato determinato dal “fatto che in questo tempo è andato progressivamente scomparendo lo Stato nazionale”.
Il concetto è nebuloso. Non si capisce se lo Stato sparisce dall’Italia o soltanto dal Sud. Né si comprende, in quest’ultimo caso, il perché. Il rischio è che rientri dalla finestra l’antropologia espulsa dalla porta (una mancata interiorizzazione dello Stato da parte dei meridionali?). Lo schema induce, infatti, a credere che a partire dalla presunta scomparsa dello Stato il Nord e il Sud abbiano divaricato le proprie storie fino a una separazione di fatto che ha (avrebbe) trasformato l’Italia nel contenitore di due paesi diversi, estranei e senza più punti di contatto. Uno schema, anticipo un punto, che scarica interamente sul Mezzogiorno la responsabilità dei fatti con cui oggi si devono (si dovrebbero) fare i conti e insieme nasconde le debolezze nazionali che minano il paese, a cominciare dal Nord.
Un giudizio azzardato, insomma, che sembra voler negare che in Italia fin dall’inizio ha funzionato un meccanismo unico. La storia d’Italia è quella del progressivo intreccio tra Nord e Sud e della loro sempre più fitta interdipendenza anche quando l’intreccio da virtuoso (1952/1970) si trasforma in negativo e nefasto a partire dalla rottura che della Loggia, con precisione e lucidità da storico, colloca “a partire dagli anni Settanta”, cioè l’Autunno caldo (69/70) e lo squacquerato regionalismo italiano (1970). Gli anni Settanta non significarono, quindi, solo la ripresa della decadenza del Mezzogiorno ma soprattutto la rinuncia del paese a un’organica modernizzazione (innovare il Sud, investire in scuola e ricerca, diventare competitivi). La scelta sciagurata delle classi dirigenti italiane (aiutata dal riaffiorare di antichi radicalismi) fu quella di ricomporre il crollo verticale del consenso tra la generazione del ’68 (di cui della Loggia e chi scrive facevano parte) e l’establishment del paese utilizzando le risorse accumulate negli anni Sessanta per recuperare potere invece di irrobustire il paese cancellando la sua economia duale.
TRE. Quella scelta è stata pagata e continua a venir pagata dal Sud e ancora oggi aiuta a nascondere le povertà e le contraddizioni dell’intero paese. Le classi dirigenti del Sud, via via decadute fino all’avanspettacolo, come annota della Loggia, ebbero in cambio mano libera sulle Regioni e la possibilità di costruire istituzioni estrattive (uso lo schema di Acemoglu e Robinson) devastando perfino la fisicità del Sud. E figuriamoci come segnarono l’animo dei meridionali sempre più fragile e corrotto, disponibile ad accettare e far propri schemi parassitari e perfino auto-razzisti (vedi le spiegazioni quasi sempre antropologiche delle mafie o le teorie di questi giorni di gruppi di docenti meridionali che teorizzano i voti alti a compenso dello svantaggio rispetto al Nord). C’è quest’intera Italia all’origine della debolezza strutturale che ci vede avanzare a rilento quando la parte del mondo in cui siamo galoppa, e ci vede indietreggiare correndo quando le cose non vanno bene neanche per gli altri.
QUATTRO. Attorno a questo nocciolo duro è spontaneamente cresciuto un radicato apparato ideologico. Parti significative della cultura italiana si sono impegnate nell’invenzione della questione Settentrionale. Stampa e televisione hanno rinunciato al racconto vero del dilagare dei poteri corporativi (compresi quelli dei grandi sindacati) che bloccano e ricattano il paese inchiodandolo alla paralisi.
Il Sud è diventato un’intera area malavitosa. E’ l’unica dimensione che gli viene riconosciuta. Le mafie, utilizzate come il cuore strategico e irrinunciabile di quest’apparato, sono state messe al centro di un racconto via via sempre più enfatico e fantastico che ha allontanato l'attenzione dai giganteschi processi di corruzione, burocratizzazione e corporativizzazione. E soprattutto ha impedito la sconfitta, la cancellazione o la riduzione fisiologica delle mafie nella vicenda meridionale. Un racconto, alimentato spesso da giornalisti e studiosi del Sud, che da un lato ha consentito di giustificare l’arretramento e l'abbandono del Mezzogiorno e dall’altro è servito come arma nello scontro per la divisione e l’accaparramento delle risorse tra i diversi territori del paese. Ma c’è di peggio, perché il racconto enfatico della mafia e le teorie della sua esportazione al Nord (che tanto affascinano anche i meridionali) nascondono i processi degenerativi che stanno dilagando nel paese, manifestazioni rigorosamente endogene, le sole, secondo gli studiosi seri, che consentono la nascita e l’affermarsi della mafia che riesce a radicarsi solo in presenza di una diffusa domanda sociale di illegalità.
CINQUE. Tutto questo annuncia e prepara la scomparsa del Sud? E’ possibile. Galli della Loggia elenca parecchi elementi che muovono in questa direzione. La tendenza – spot a parte – è questa. Ma se sarà così (e non è certo una consolazione) nel baratro finiremo tutti.