Anime tra le onde

Anime tra le onde

immigrazione   di LUCIANO TRIBISONDA

- Vi è negli sbarchi degli immigrati e nelle vicende internazionali avvenute negli ultimi giorni un qualcosa di radicale che non saprei definire, una consapevolezza che si insinua nell’anima, che si inchioda al “te stesso” e non ti fa respirare.

Vi è nello sguardo dell’immigrato, nel dolore per la perdita degli affetti, nella stanchezza per la tremenda traversata e nella paura della fine imminente, costruita come un mosaico dove i tasselli sono le facce dei compagni che non ce l’hanno fatta, un obbligo morale all’introspezione simile al “tu devi” kantiano, che perde però ogni suo significato, che diventa però parola vuota, stupida barzelletta davanti ad ogni singolo cadavere tra le onde del mare.

Nelle madri incinte disposte a partorire su culle di morte, barconi sgangherati in balia della furia del mare e del destino vi è un dogma di vita che non può essere nascosto, un legame empatico di dolore e d’angoscia che non può essere zittito, cancellato o soffocato semplicemente vivendo i giorni che ci vengono concessi.

Nello sgomento degli adolescenti, piccoli ragazzini feriti dal terrore, lanciati dai genitori con il cuore spezzato verso un futuro di speranza, nelle bocche secche e sanguinanti per la sete e negli stomaci vuoti di cibo e di vita vi è un invito doloroso alla memoria, una voce che si sveglia nella mia e nella tua testa e che ci convince, non a torto, di non aver capito un cazzo.

Tutto questo è a causa mia, tutto questo è a causa tua, tutto questo è a causa nostra... mio caro lettore.

Pensaci bene, abbiamo banchettato della loro terra per secoli come cicale mai sazie, abbiamo deciso, piccoli dittatori dal cuore di pietra, come dovessero vivere o morire, abbiamo saccheggiato, rubato, violentato donne indifese e raso al suolo città intere, abbiamo succhiato come infime sanguisughe il loro petrolio, pagandoli poi come schiavi abbiamo cancellato ecosistemi macchiando di nero e di orrore quella che era e che è CASA LORO.

Abbiamo incastonato nelle nostre belle e preziose collane, pegno d’amore per le nostre fidanzate, i diamanti dello Zimbabwe ed abbiamo condannato a morte i minatori bambini seppelliti nelle miniere di noi onesti occidentali; non contenti, abbiamo impiantato governi fantoccio e, scegliendo con cura tra i generali più sanguinari, abbiamo bruciato ogni possibile speranza, cancellato per decenni ogni possibilità di vita pacifica.

Dovremmo tacere, chiedere scusa per l’orrore, ma siamo troppo presuntuosi per farlo e, allora, tronfi di orgoglio ci inventiamo stupide storie di alberghi pagati per accoglierli, di una paga mensile per il loro sostentamento, ci inventiamo finanche delle loro lamentele, qualora avessero la forza per averne, che sono in realtà il riflesso dei nostri vizi più vuoti e infimi, il gusto acerbo del nostro lontano senso di colpa.

Con il motto tutti a “casa loro” ergiamo a salvatori della patria e della purezza della razza stupidi e piccoli politici che ignoravano fino a due giorni fa la storia della Repubblica Italiana e che infamavano i propri connazionali con epiteti degni dei più piccoli bar di provincia; piccoli politici e piccoli uomini i quali sarebbero capaci di vendere al primo bordello la propria madre semplicemente per un pugno di voti.

Dovremmo tacere, ma tanto non lo faremo mai, la prossima volta però, quando saremo tentati, chiacchierando con gli amici dopo una partita di calcetto a infamare il “negro” o il “buzzurro” che ruba all’italiano onesto il lavoro e il sonno o quando ci troveremo davanti al computer con lo stomaco pieno del cibo succulento della mamma, pronti a condividere la nuova bufala del country club per immigrati pagato dallo stato italiano vi invito, proprio in quel momento, a ripetere nella vostra mente, come un mantra liberatorio, queste parole che sono di Samir, un mio caro amico:

"Mio adorato amore, per favore non morire, io ce l'ho quasi fatta. Dopo mesi e giorni di viaggio sono arrivato in Libia. Domani mi imbarco per l'Italia. Che Allah mi protegga. Quello che ho fatto, l'ho fatto per sopravvivere. Se mi salverò, ti prometto che farò tutto quello che mi è possibile per trovare un lavoro e farti venire in Europa da me. Se leggerai questa lettera, io sarò salvo e noi avremo un futuro. Ti amo, tuo per sempre Samir".

Quando vi sentirete troppo orgogliosi, o parlerete dall’alto della sapienza occidentale, ricordatevi di queste parole scritte dal mio e dal vostro amico Samir.

Samir aveva 20 anni...Allah non l’ha protetto ed è morto affogato tra le onde...