L’INTERVENTO. Villa sg, abbiamo perso solo il buon senso o anche il senso di umanità?

L’INTERVENTO. Villa sg, abbiamo perso solo il buon senso o anche il senso di umanità?

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Effetti della paura da coronavirus o spia di un malessere più profondo? E’ accaduto che cento persone, diverse da quelle quindicimila circa che giorni orsono hanno percorso già l’Italia in direzione Nord-Sud, sono state bloccate al loro arrivo presso l’imbarco dei traghetti in quel di Villa San Giovanni, poi ospitate in alcuni alberghi ad opera della Protezione Civile.

Non è importante sapere se i motivi del rientro a casa di ognuna di loro da altre Regioni sia coerente con le previsioni del decreto del Presidente del Consiglio del 22 marzo, se cioè la fabbrica dove lavorano sia stata chiusa, se il loro alloggio temporaneo sia venuto meno, se abbiano semplicemente sentito l’insopprimibile bisogno di tornare nella loro Terra o nella casa natìa. Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la riflessione che la vicenda impone.

Il primo pensiero porta ad un parallelismo con la caccia all’untore di manzoniana memoria. Nella Milano afflitta dalla peste la situazione di isteria prevalente, in uno con la superstizione del popolo, ha portato a reiterati linciaggi di stranieri o semplici sfortunati cittadini accusati di malefici e ha coinvolto anche insospettabili dotti e scienziati, incapaci di contrapporsi al pensiero dilagante. Celebre quanto illuminante è l’affermazione del Manzoni secondo cui “il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.

Il raffronto con quanto avvenuto a Villa San Giovanni, con le dovute proporzioni rispetto alla peste del 1630, porta a ritenere che in questa occasione si è perso, già a partire dalle persone illuminate, l’equilibrio e il buon senso. Le vetture bloccate all’imbarco sono state considerate, infatti, come nuda e vuota lamiera, è stato proprio il rispetto verso l’essere umano a latitare nel sentire collettivo e nella comunicazione alla popolazione. Tutto ciò non va trascurato, a maggior ragione perchè verificatosi nel mentre si vive una tragedia con al centro la sofferenza umana. I cento viaggiatori, numero non paragonabile ai quindicimila di qualche settimana fa, trasformati loro malgrado in possibili “untori”, ma in realtà neanche contagiosi fino a prova contraria, avrebbero potuto facilmente e rapidamente, una volta identificati, raggiungere le loro abitazioni con conseguente quarantena obbligatoria. Così non è stato, essi sono stati simbolicamente destrutturati e proiettati in una dimensione astratta e priva di umanità. In questa nuova “matrix”, le persone, ormai ridotte a manichini senza volto e identità come nei quadri di De Chirico, sono oggetti privi di diritti, considerati “solo” pericolo per la nostra sicurezza e confinati in un limbo nel quale la loro salute, la loro vita, i loro disagi sono stati etichettati quali insignificanti e superflui. E’ successo, quindi, che una egoistica cultura a visione “localistica”, caratterizzata da inevitabile sentimento di ostilità verso gli altri, ancor più se percepiti come “diversi” (l‘esempio emblematico è quello dei quattro francesi sulla renault), ha prevalso ed è stata dai più condivisa o distrattamente avallata. Tutto ciò in nome di un malinteso ed esasperato concetto di sicurezza ed in netto contrasto rispetto alla generosità di chi giornalmente per salvare vite umane si confronta a tu per tu con il virus all’interno degli ospedali. In un mondo globale, nel quale si discute di Europa unita, con tutti gli ostacoli che puntualmente emergono, si è riusciti a ergere steccati e nuove frontiere all’interno delle nostre Regioni. Lo stesso atteggiamento, lo stesso rigore e insensibilità che ieri l’Europa intera ha dimostrato verso gli immigrati in nome della sicurezza, oggi viene riservato a chi vuole tornare alla propria abitazione, con ulteriore accanimento per qualcuno che non corrisponde al canone estetico comune e accettato e, per tali ragioni, considerato maggiormente sospetto.  

Non si dubita che la stragrande maggioranza degli italiani è tutt’altro che insensibile alla vita altrui, ma attenzione a che questa battaglia contro il virus, da virtuosa, non venga trasformata in una sorta di campagna populista all’insegna del “mors tua vita mea” mediaticamente alimentata. Alla fine, il Paese, che vincerà sicuramente la sfida contro il virus covid-19, per il reiterarsi di simili episodi rischierebbe di perdere la guerra contro un virus globale ancora più temibile, ossia quello dei regionalismi, delle divisioni e degli egoismi. Ciò porterebbe a un’epoca post-coronavirus caratterizzata dal sentimento di solitudine e dallo “smarrimento” dell’individuo all’interno, addirittura, del singolo Stato di appartenenza.

*avvocato