Noi calabresi siamo, come è noto, gente strana. Ci piace molto piangerci addosso, commiserarci, gridare ai complotti, parlare male se non malissimo di noi stessi, una sorta di auto razzismo disperato e disperante. Spesso lo facciamo per cose giuste, su quello e anzi sul tanto che non va. Sulle storture che sono molte e su una situazione complessiva che stenta a migliorare sul piano dei grandi numeri e dello sviluppo civile e sociale.
Spesso, però, lo facciamo anche su quello che va, che non viene valorizzato a sufficienza, anzi viene criticato nella concezione distruttiva di cui sopra, mettendo tutto in un mazzo e non distinguendo più niente.
Pensavo a questo leggendo nei giorni scorsi una classifica mondiale delle migliori università del pianeta in cui per la prima volta figura una nostra università, l’Università della Calabria, attorno all’800mo posto. Degli atenei italiani ci sono in graduatoria, tra gli altri, il Politecnico di Milano, la Sapienza di Roma, la Federico II di Napoli, l’Università di Bologna, etc etc. Tutte ovviamente ben sopra la nostra Unical, nata solo pochi anni fa.
Ci pensavo perché da tanti anni penso e scrivo che l’Unical e il Porto di Gioia Tauro sono forse le cose piu’ positive che questa terra ha espresso negli ultimi decenni. Ovviamente con contraddizioni, lati negativi, cose che non vanno ma che accendono già oggi una luce diversa sul nostro mondo ma che spesso vengono travolte da quell’ondata di negativismo di cui sopra si e’ detto, una sorta di cupio dissolvi che come in un’ondata di piena non lascia nulla in piedi.
E’ giusto tutto ciò? E’ normale? E’ corretto? Torniamo all’Unical, che ha pochi anni di vita e che va in quella graduatoria accanto ad atenei che hanno alcune centinaia di anni di storia, ambienti, tradizioni e territori meno ostili. Fu una grande intuizione del mondo politico di 50 anni fa scegliere per Arcavacata quelle modalità campus che oggi vengono premiate e quella vocazione scientifica che tanti frutti sta dando. Ma fu quella università anche il piu’ grande modello di modernizzazione di una regione intera, che ha permesso e permette a migliaia e migliaia di ragazze e ragazzi di tutta la Calabria (anche qua un grande fattore di regionalizzazione) di potere studiare e laurearsi, ambire ad un domani migliore, ad un riscatto sociale.
Senza questa università tutto ciò non sarebbe stato possibile e l’università a Roma o a Napoli, a Bari come a Messina sarebbe stato il solo e tradizionale appannaggio dei figli della classe più ricca, in una riproposizione degli schemi di una Calabria immobile nel tempo e nello spazio. Poi questa Università, da Beniamino Andreatta in poi, ha saputo offrire tanto altro ed oggi va così… Si ritrova in una stessa classifica con il MIT di Boston o la Stanford University.
Non ci sono problemi ad Arcavacata? Certo che ce ne sono! Ci mancherebbe! Ma non sarebbe corretto partire dal positivo per migliorare? E non sarebbe corretto partire dal positivo parlando ad esempio del grande porto di Gioia piuttosto che insistere sempre dovunque e dappertutto su quello che manca, che non c’è, etc etc?
Arcavacata e Gioia sono i due punti possibili di una Calabria nuova e moderna che deve essere costruita e che aspetta da troppo tempo. Lo sono anche fisicamente se solo qualcuno mettesse fisicamente piede tra le banchine e le gru del porto o tra le aule e i ponti sospesi dell’Università, giusto per rendersi conto di che parliamo, invece di continuare a sproloquiare senza sapere. Lo ripetiamo: in entrambi i casi bisogna lavorare molto per migliorare ma e’ l’ottica con la quale si vedono le cose che deve cambiare. Magari guardare le stelle e non la luna piena, tanto per rovesciare un cliche’. La luna fa piu’ luce e oscura le stelle che però ci sono, brillano e potrebbero brillare di piu’.