MARIA FRANCO - A me, contrariamente al Tommasino di "Natale a casa Cupiello", mi piace il presepe.
Nella memoria più vicina alla mia infanzia, l’albero non esiste proprio. Semplicemente, in campagna, nessuno lo faceva. Il primo lo vidi a Reggio ed era agghindato con cioccolatini in carta stagnola colorata. Se ci penso, sgrano ancora gli occhi: mi sembrò qualcosa di esotico, bello, luminoso, appariscente, di un altro mondo.
Il presepe no. Il presepe, l’avevo visto da sempre. A scuola, dalle suore.
In chiesa, dove pastori grandi, alti si mescolavano con quelli più piccoli e il mondo che conoscevo – il pastore, la lavandaia, il pescatore, la venditrice di uova, le galline, l’asino e il bue, il muschio – trovavano una cornice diversa eppure uguale alla mia: le montagnole intorno, le casette aggrappate l’una all’altra, il pozzo, la fiumara, la sabbia del mare. L’unica cosa davvero strana erano i magi, a cavallo di qualcosa che cavallo non era; quanto alla pelle era solo più scura di quella di zii e nonni cotti dal sole, in estate, alla mietitura o alla raccolta delle mandorle.
A casa, dove lo sfondo dei nostri pastori, disposti un po’ in fila, con architetture elementari più che semplici, era un cielo stellato su carta lucida-opaca (possibile? Non lo so: me la ricordo così) che pareva dare al mistero del tutto – di Dio e del mondo insieme – un senso di pace: umile, dolce, gioioso.
Con gli anni, imparai che non solo il presepe, ma anche l’albero addobbato ha valenza religiosa, giacché deriva dalle parole della Bibbia che racconta di alberi che danzano illuminati e felici alla vista di Dio.
E che, entrambi, albero e presepe, possono dire qualcosa a chi li fa e chi ne gode la vista – riscaldare il cuore a chi crede e a chi non crede nel comune riconoscimento della sacralità d’ogni uomo, della vita. Lasciare in ciascuno una scia di stupore: per tutto quello che è umano nell’uomo, per il carico di promesse, di attese che, nonostante i millenni di storia che abbiamo alle spalle, possono fare di ogni nostro mattino un nuovo inizio.
Oppure, non dirci niente: abitudini senza contenuto, giusto per ricordarci che siamo arrivati a dicembre e, tra poco, è l’anno nuovo.