IL RICORDO. Mommo Tripodi il bracciante che diventò quarta carica della Repubblica

IL RICORDO. Mommo Tripodi il bracciante che diventò quarta carica della Repubblica
mommo

Ho avuto la fortuna di conoscere Mommo Tripodi in due stagioni diverse della sua vita. La prima quando, alle prime armi con l’impegno politico alla metà degli anni Sessanta, ho incontrato il suo “mito”: segretario provinciale della Federbraccianti di Reggio, era il leader stimato e indiscusso delle grandi lotte delle raccoglitrici d’olive della Piana di Gioia Tauro e delle gelsominaie della fascia jonica del reggino, il dirigente politico e sindacale che aveva conquistato, con battaglie durissime, un sensibile miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di decine di migliaia di lavoratori agricoli. Nel ricordo di quegli anni in cui io, insieme a tanti altri miei coetanei, facemmo la “scelta di vita” che cambiò il corso di tante storie individuali, la figura di Mommo divenne rapidamente un punto di riferimento, l’esempio vivente che avevamo fatto la scelta giusta. Per questo parlare di “mito” adesso non è retorica di circostanza, ma solo il voler riportare un sentimento collettivo, il rispetto e l’ammirazione che da subito abbiamo avuto per l’uomo e il dirigente politico.



Il secondo incontro con Mommo avvenne qualche decennio dopo. Quella stagione di grandi lotte e di grandi speranze era finita, la Calabria era cambiata e lui avrebbe dovuto essere “in pensione”, ma quella condizione per un comunista come lui non faceva parte del suo orizzonte di vita e, pur avendo lasciato tutti gli incarichi istituzionali, continuava la sua battaglia politica in un mondo che intanto era completamente cambiato.

Girolamo – Mommo- Tripodi, bracciante agricolo, nel frattempo, era stato, parlamentare, sindaco del suo paese di origine, Polistena per diversi mandati, fino a diventare, come questore del Senato, la quarta carica della Repubblica. Una vita, la sua, “degna di essere vissuta” e anche raccontata. Cosi gli proposi di mettere nero su bianco la sua storia e, dopo aver vinto le sue resistenze, non senza l’affettuoso sostegno della moglie Pasqualina e dei suoi figli, Tina, Michelangelo e Ivan, sono riuscito a convincerlo e la sua vita è diventata un libro scritto a quattro mani. Mise però una condizione: la vicenda raccontata non avrebbe dovuto essere solo la sua biografia, ma la storia collettiva dei braccianti della provincia di Reggio. Così insieme a Mommo abbiamo fatto un lungo peregrinaggio per la Piana e per la jonica per intervistare i sopravvissuti di quell’epoca, raccoglitrici d’olive e gelsominaie, braccianti, segretari di Camere del lavoro locali e di Leghe bracciantili, che poi hanno affollato con le loro testimonianze il racconto scritto della sua vita.

Di quel “viaggio” con Mommo ho diversi ricordi, ma la sensazione più forte me l’hanno data le espressioni del suo viso quando mi raccontava che il figlio o la figlia di quella raccoglitrice di olive o di quella gelsominaia era diventato medico o avvocato. Il suo sorriso contenuto, ma evidente quando dicevano: “Grazie a vui ottenimmo l’assistenza sanitaria e ora avimu a pensioni”, cioè grazie a voi abbiamo conquistato una vita dignitosa. In un primo momento avevo pensato al suo giusto orgoglio per le conquiste ottenute con le tante lotte che lo avevano visto come protagonista. Ma mi è venuto il dubbio che questo pensiero non quadrasse con la sua personalità. Poi, riflettendoci a lungo, ho capito. Ho capito che Mommo, nel libro che parlava di lui, ci teneva a mandare un messaggio alle giovani generazioni: il partito comunista italiano era diventato una grande forza popolare perché aveva cambiato la vita di milioni di persone, perché giorno per giorno si occupava dei problemi grandi e piccoli di coloro che da soli non ce l’avrebbero mai fatta.

Era in fondo una critica radicale alla sinistra nata dalle ceneri del vecchio partito e che gli avvenimenti successivi hanno dimostrato essere di grande attualità. Ho capito dopo perché insistesse tanto nel raccontare un episodio che a me pareva marginale e cioè un suo viaggio fra gli emigrati calabresi dell’hinterland di Torino e la successiva iniziativa parlamentare per migliorare – come poi avvenne – il sistema di trasporto giornaliero dei lavoratori pendolari. Mommo Tripodi voleva raccontare quello che aveva imparato nella formidabile scuola di politica che era stato il partito comunista: ogni piccolo risultato, ogni compromesso politico e sindacale che faceva fare un passo avanti ai lavoratori era considerato un risultato importante. Era questa la politica quotidiana che poi, nei comitati centrali, nelle direzioni, nei convegni di partito diventava la polemica con la componente più radicale e massimalista da sempre presente nel Pci. Tutto il suo racconto è una pignola elencazione dei risultati raggiunti in quella o quell’altra lotta…5% in più…3%...

“Chi racconta ai giovani di oggi quello che abbiamo fatto noi comunisti per questa regione, per i lavoratori e le popolazioni calabresi che vivevano in condizioni bestiali – ci tiene a dire Mommo in un passaggio del libro –abbiamo fatto decine di marce per il lavoro e lo sviluppo, il risanamento del territorio e la difesa del suolo, si partiva a piedi da Platì, San Luca, Africo, Condofuri, Mammola, Cardeto, riempivamo il corso Garibaldi di Reggio con migliaia di persone, partivano i mariti, i figli, le mogli le mamme…E’ inaccettabile la cancellazione della nostra memoria e io non lo accetterò mai, per rispetto nei confronti di me stesso e dei tanti compagni con cui ho condiviso la stessa battaglia…quei boschi che oggi ammantano vaste aree dell’Aspromonte li hanno piantati migliaia di forestali, le massicciate, le strade, gli imbrigliamenti delle fiumare le hanno fatte loro. E’ stato negli anni successivi che le assunzioni clientelari e le infiltrazioni mafiose hanno buttato fango, è il caso di dire, su tutta l’opera dei lavoratori forestali”.

E qui si tocca un passaggio cruciale della storia calabrese del secondo dopoguerra. Negli anni Settanta quella “stagione gloriosa” vede l’inizio della sua fine. Il partito comunista stenta a capire che la “modernizzazione” della regione comincia a sfuggirgli di mano. Nelle campagne, la “riforma agraria” – per così dire – la fa la ‘ndrangheta che sequestra le vecchie grandi proprietà non certo per fare opera di miglioramento dell’economia agricola. La “questione urbana”, gravemente sottovalutata dal partito esplode violentemente con la rivolta di Reggio Calabria che mette a nudo i vuoti di analisi del Pci e della Cgil. Anche se ci sono alcuni momenti - che vedono ancora una volta Mommo come protagonista - che rimettono in campo una sinistra in difficoltà. Nel 1975 la Regione Calabria, su iniziativa del Pci organizzò un convegno su “Mafia, stato e società”. Mommo, insieme ad altri dirigenti del partito e del sindacato denunciarono il pericolo costituito dal fatto che la ‘ndrangheta stava diventando una potente organizzazione criminale. Quella denuncia fu sottovalutata, per superficialità, opportunismo o interesse dall’insieme della classe dirigente politica calabrese. Quell’atteggiamento ha condizionato la storia successiva della regione. Forse l’ultimo colpo di coda, negli anni Ottanta, fu la battaglia di massa nella Piana di Gioia Tauro contro l’inutile e dannosa centrale a carbone che vide ancora una volta Mommo Tripodi come figura di primo piano.

Ora Mommo ci ha lasciati. Prima di lui tanti compagni che lui ha voluto che andassimo a intervistare o che ha voluto ricordare nel racconto della sua vita. Duro e inflessibile nella lotta, era gentile e affettuoso nel suo modo di essere privato. E vorrei finire questo ricordo di un indimenticabile amico e compagno con le parole che ha scritto nella prefazione al libro che racconta la sua vita: “Un pensiero affettuoso lo rivolgo ai lavoratori, alle lavoratrici, ai pensionati e ai dirigenti sindacali che con la loro testimonianza hanno ricostruito quella storia di sofferenze, di stenti, di sfruttamento e di oppressione e soprattutto di lotte che essi hanno sostenuto per il cambiamento delle loro condizioni di vita e di lavoro. E rivolgo un deferente omaggio ai dirigenti della Federbraccianti, della Cgil e del partito comunista con i quali abbiamo combattuto quelle battaglie e che adesso non ci sono più. Con questo racconto poi vorrei trasmettere alla nuove generazioni, ai miei nipoti Alessandro e Sonia, un pezzo eccezionale di memoria storica, che riguarda una classe lavoratrice che si è riscattata da una condizione feudale di oppressione”. Ecco, anche queste parole semplici ci dicono chi è stato Girolamo “Mommo” Tripodi.

*giornalista e scrittore, autore del “Riscatto", Rubbettino, 2007, la biografia di Mommo Tripodi
**zoomsud e il suo direttore sono vicinissimi al dolore della famiglia Tripodi.