Se non ci fossero stati di mezzo i morti, le fabbriche chiuse, le case abbandonate, le strade crollate, i comuni isolati sarebbe facile rifugiarsi nell’ironia e mandare a quel paese i tanti predicatori che da giorni ripetono il rosario delle calamità, quello delle campagne abbandonate, dei monti senza cura, dei fiumi discarica, delle villette abusive a due passi dal torrente.
Parole giuste, per carità, ma che pronunciate il giorno dopo e mai quello prima, hanno il sapore della beffa. E che dire della tempesta perfetta, della pioggia che mai così tanta e così forte, etc etc?
Il nostro, la verità, a differenza di molti altri è un paese fragile, molto fragile. “Sui circa trenta milioni di ettari del territorio nazionale – spiega Walter Palmieri, ricercatore presso l’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr – le zone superiori ai settecento metri, quelle che secondo la definizione Istat sono da considerarsi “montagna”, rappresentano il 35,2 per cento del totale e se sommiamo il 41,6 per cento di territorio formato da colline, si giunge a una percentuale di circa il 77 per cento di aree non pianeggianti’’.
In queste condizioni qualunque pioggia di media intensità può dunque trasformare l’acqua di un torrente in un devastante tsunami capace di travolgere tutto quello che trova e che incontra. E’ successo, già successo, che in questo paese fragile di natura, e naturalmente a rischio, i suoi abitanti abbiano rimosso il concetto di pericolo, sviluppando una fantastica rete di Protezione Civile, una delle migliori al mondo, ma non una cultura e una politica della prevenzione, a conferma che siamo maestri nel correre dopo e mai nell’agire prima.
Secondo il ministero dell’Ambiente oltre la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane, smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e persino maremoti. In questo esatto momento, dice la Protezione civile, l’82% dei comuni (cioè 6631) si trova in aree a elevato rischio idrogeologico. In base ai calcoli dell’Ispra, 1.905.898 persone sono esposte al rischio di un’alluvione di pericolosità elevata e 5.842.751 ad alluvioni di pericolosità media. E in quelle stesse zone ci sono 7100 strutture scolastiche e 550 ospedaliere: migliaia di scuole e centinaia di ospedali costruiti cioè nel posto sbagliato.
E’ successo, già successo, che nella totale assenza di una cultura delle prevenzione la politica abbia ignorato se non avallato – con condoni e distrazioni – la costruzione rapida, spesso abusiva, di case, capannoni o interi quartieri, moltiplicando, di fatto, il peso di un rischio naturale e già esistente.
Negli anni del boom economico, ma anche dopo, si costruisce dove si vuole e quanto si vuole. Peccato che gli effetti del cemento facile siano duplici. Il primo è quello di aumentare le conseguenze catastrofiche di frane e alluvioni, perché con un’urbanizzazione fuori controllo diventa sempre più frequente, proprio nelle zone a rischio, la presenza di insediamenti a forte densità abitativa. Il secondo è quello di trasformare il terreno naturale in uno sterminato telo impermeabile. Ogni secondo che passa ci sono, in Italia, otto metri quadrati di terra che vengono coperti da asfalto o cemento: soltanto a leggere questa frase ne abbiamo già rivestiti una ventina.
Morale della favola? Se vogliamo contenere il dissesto idrogeologico, anziché favorirlo, dobbiamo cominciare a fare i conti con questa immensa quantità d’acqua che va gestita, non certo ignorata. Magari attraverso una seria legge sul consumo del suolo. Che non significa smettere di costruire, ma farlo solo quando serve davvero e dove davvero si può.
Da questo punto di vista, le frasi e i selfie di Salvini in gita la scorsa settimana nel Veneto alluvionato ben rappresentano il difficile rapporto che l’Italia ha sempre avuto con il proprio territorio: parlare di “ambientalisti da salotto” dopo quello che è accaduto dalle Dolomiti alla Sicilia significa infatti non comprendere né la debolezza del proprio Paese, né la forza dei mutamenti globali che lo stanno minacciando. Sembrava Alberto Sordi, purtroppo è un ministro.