Il DOLCE APPRODO. Quando mio padre, dentro la stanza dai toni azzurri dell’Hospice…

Il DOLCE APPRODO. Quando mio padre, dentro la stanza dai toni azzurri dell’Hospice…

Hospice

Quando mio padre è morto, poco più di un anno fa - dentro la stanza dai toni azzurri dell’Hospice “Via delle stelle” di Reggio Calabria, la mia città - noi eravamo presenti. Per noi intendo la famiglia: mia madre, i miei fratelli, io, i nostri compagni. Eravamo lì per compiere quello che i greci per primi ci hanno insegnato. Onorare la morte, accompagnandola. Credere nella vita, nonostante la consapevolezza della sua finitudine e il dolore che ne deriva. Per la cura, approdo di umanità.

L’Hospice, come molti tristemente sanno e che rischia di cessare ogni attività per mancanza di fondi, è una struttura gestita da personale specializzato e consapevole, che eroga il Servizio delle Cure Palliative Specialistiche. In sostanza, quando gli ospedali ti dicono: “portateveli a casa”, e la sofferenza del malato è troppa e l’amore e la cura dei familiari e l’elenco infinito dei medicinali ripetuto a memoria e i turni di assistenza, o i tutorial con cui impari a fare la seleparina, per esempio, non bastano, c’è questo approdo. Le braccia aperte che accolgono.   La decisione spesso la prendi in un attimo di uno sguardo, come è successo con i miei fratelli, superando, o non dando ascolto ai pregiudizi e ai dubbi di chi pensa che queste scelte siano una resa all’amore. E invece è proprio il contrario.

Tutto questo non per l’urgenza di raccontare vicende private, ma nella speranza di dare risalto e far vedere con occhi nuovi, l’Hospice, che vive di donazioni, molte fatte dalle famiglie, che lì negli anni si sono “trasferite” per giorni. E da quando anche la mia, di famiglia, è passata da quelle stanze, sapere che una struttura così piena di amorevoli competenze, indispensabile dinanzi alla malattia arresa, può chiudere per sempre, non si può che sentire un certo dolore. Sordo e appiccicoso.

Ancor di più, leggendo che la percentuale di malati terminali, in Calabria, è quasi parossistica. In una terra, dove i paesi si ammalano, perché il cancro è diventato cellula deforme dell’acqua e della terra. E qui, si diventa migranti della sofferenza, e gli ospedali non hanno farmaci, medici, strutture, pulizia, letti e l’assenza è umiliazione e povertà e il vento che porta lontano è quello della noncuranza e del latrocinio, prima ancora che della speranza. Dove incapacità e corruzione si specchiano l’una nell’altra, perché danneggiano ugualmente la vita di un popolo.

Perché la lontananza della politica dalle vicende umane è inaccettabile.

Allora per questo si scrive un articolo, spingendosi fino alla narrazioni di eventi personali. Proprio per questo. Per dare luce a un luogo che potrebbe non accogliere più. Per non essere la Calabria, sempre l’ultima, di una Nazione, che chiude la porta.

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Tratto da WhatsApp: "Lunedì 15 luglio alle ore 11 tutti alla prefettura di Reggio Calabria per sostenere l'Equipe dell'Hospice "Via delle stelle"  di Rc affinchè l'Hospice non chiuda". (Zs)