TRIBUNALE del RIESAME. Inconsistenti le accuse contro Mimmo Lucano per le misure cautelari

TRIBUNALE del RIESAME. Inconsistenti le accuse contro Mimmo Lucano per le misure cautelari

arresto

«Inconsistenza del quadro indiziario», ipotesi fondate su «elementi congetturali o presuntivi», inattendibilità dei testi, calcoli «errati» e insussistenza del pericolo di reiterazione del reato. C’è tutto questo nelle motivazioni dell’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame ha respinto l’appello della Procura di Locri contro il rigetto della richiesta di misura cautelare a carico dell’ex sindaco di Riace Domenico Lucano e degli altri imputati del processo “Xenia”. Un appello col quale il pm aveva chiesto che per Lucano - finito ai domiciliari e poi rimesso in libertà, salvo dover rimanere lontano da casa per 11 mesi - scattassero le misure cautelari non solo per i presunti matrimoni di comodo e le irregolarità nell’appalto per la raccolta dei rifiuti, ma anche per associazione a delinquere, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, concussione e malversazione. Accuse che già il gip che firmò l’arresto del simbolo dell’accoglienza aveva ritenuto zoppicanti e ora a ribadirlo è anche il Tribunale del Riesame, che riprende quelle stesse considerazioni facendole proprie. Risulterebbero inutilizzabili le sommarie informazioni raccolte da persone indagate ma ascoltate senza la presenza di un avvocato e congetturale la tesi secondo cui i prelievi di denaro sarebbero stati destinati a soddisfare interessi diversi dall’accoglienza e in merito all’associazione a delinquere viene evidenziata la «inconsistenza del quadro indiziario relativo alle contestazioni dei reati fine» che «si riverbera negativamente sulla possibilità di configurare il delitto», in quanto «il programma perseguito dagli indagati non si è tradotto in condotte penalmente rilevanti».

Insomma, quello proposto dalla procura di Locri - che ha portato quelle accuse in tribunale per i giudici è un quadro poco chiaro e non completamente supportato dai fatti. Fatti che nell’appello sarebbero invece «sintomatici della disinvolta e personalistica gestione del denaro pubblico da parte degli indagati». Ma se per il Tdl traspare sì «una modalità di gestione non cristallina delle risorse pubbliche, in assenza di registri di rendicontazione del denaro prelevato», ciò non troverebbe pieno riscontro negli elementi raccolti.