Il mare si sta mangiando le coste, anche in Calabria

Il mare si sta mangiando le coste, anche in Calabria

coste erose

Dalle rilevazioni digitali di questi giorni compiute dall’Istituto idrografico della Marina di Genova la conferma che il fenomeno dell’innalzamento del mare risulta sempre più accelerato: venti centimetri in più sulle coste liguri. Solo là? Ma no, questa è solo l’ultima notizia data da un giornale! Il fenomeno e’ planetario e in Italia riguarda tutte le coste, dalla Sicilia alla Liguria appunto e ciò accade nel momento in cui gli italiani si stanno riversando sulle spiagge dopo l’incubo del Corona virus. Che vi troveranno?

   L’allarme per l’erosione delle coste è, infatti, ben più diffuso, è generale e in Calabria in alcune zone sia dello Jonio che del Tirreno e’ diventato drammatico, nel silenzio piu’ o meno assordante di tutti. Mettiamoci i devastanti mutamenti climatici in atto, aggiungiamoci appunto l’innalzamento del livello dei mari, e sommiamoci naturalmente la sostanziale inerzia dei poteri pubblici (aggravata dai maledetti frutti del trasferimento dallo Stato alle Regioni anche delle competenze in materia di difesa dei litorali), ed ecco il risultato: 1.662 chilometri di arenili, da un capo all’altro del Paese, da Ventimiglia a Punta Passero, da Riace Marina ad Ostia, sono in progressiva erosione, stanno sparendo o, peggio ancora, sono già letteralmente spariti.

  Porto un solo esempio calabrese: la spiaggia di Sant’andrea Apostolo sullo Jonio a causa del vicino porto di Badolato che mangia sabbia ogni anno si e’ ridotta in 5 anni di 150 metri. Non esiste praticamente piu’.

  L’europarlamentare di 5 Stelle Laura Ferrara ha presentato una denuncia: «Nel 2017 la Regione Calabria ha istituito un Master plan per la difesa del suolo e la mitigazione dell’erosione costiera che prevede interventi per circa 600 milioni di euro, di questi 65 provengono dal Por 14-20, ma nessun intervento è ancora effettivamente avviato». La Commissione europea risponde all’interrogazione dell’eurodeputata Laura Ferrara circa la spesa a valere sul Por 14-20 destinata alla difesa delle coste calabresi. «Nel 2017 la Giunta regionale della Calabria (con delibera n. 355 del 31 luglio 2017) ha istituito un programma, che prevede 19 interventi per la difesa del suolo e la mitigazione dell'erosione costiera, per un valore di 65 milioni di euro, nell'ambito del Programma operativo regionale Calabria 2014-2020. Questi progetti fanno parte di un Master Plan più completo, di circa 600 milioni che comprende numerosi progetti da sostenere attraverso fondi nazionali».

«Per come mi informa la Commissione europea – specifica la Ferrara - i 19 interventi sostenuti dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dal Fondo sociale europeo (FESR - FSE) nell'ambito del Por 14-20 sono ancora in fase di elaborazione progettuale, quindi non sarebbero nemmeno stati avviati».

«La Calabria ha ben 800 chilometri di coste, un patrimonio enorme che, di anno in anno, registra un costante restringimento causato, molto spesso, dalla gestione scellerata del territorio e da eccessivi interventi antropici legali ed abusivi. Un problema che con l’arrivo della bella stagione sembra essere ormai alle spalle ma che, come ogni anno, si ripresenterà da ottobre in poi. Per questo sarebbe importante capire come procede l’iter del Master plan nella sua interezza, quali interventi nuovi siano stati effettivamente finanziati. Sarebbe, inoltre, opportuno procedere in maniera celere e strutturale, senza ricorrere dunque all’emergenza, affinché questi fondi siano realmente spesi per gestire e risolvere uno dei problemi più importanti del nostro territorio: l’erosione costiera» conclude l’europarlamentare.

La denuncia del disastro in ogni caso è tra i dati contenuti in un rapporto ufficiale della direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque, una delle divisioni più importanti del ministero dell’Ambiente. Ebbene: di 7.465 km di costa italiana, le spiagge rappresentano più della metà (3.950 km), e di queste ben il 42% sono in erosione. Il top del disastro è nella piccola Molise: con 36 km di costa (di cui 25 difesi da scogliere) il mare si sta mangiando addirittura il 91% delle spiagge.

   In Basilicata, lungo la fascia ionico-metapontina, l’erosione degli arenili raggiunge quota 78%. Né la situazione è migliore in Puglia (erosione in atto del 65% delle spiagge), in Abruzzo (61%), in Marche e Lazio (54%). Nelle altre regioni, il consumo degli arenili è tra il 43 e il 33%, mentre i valori più bassi si registrano in Emilia-Romagna (25), Veneto e Friuli rispettivamente con il 18 e il 13.

Il rapporto fa anche un paio di conti sul bilancio delle variazioni della linea costiera in mezzo secolo, dal 1960 al 2012. Queste variazioni hanno fatto registrare per un verso un arretramento delle coste di 92 chilometri quadrati (interessando 1.534 km di coste, il 23% del totale) e, per un altro verso, un avanzamento, invece, per 57 chilometri quadrati (su 1.306 km costieri, il 19% del totale), da cui un bilancio negativo di 35 chilometri quadrati di litorali andati perduti, fino a minacciare la sicurezza e la condizione economica di abitanti e infrastrutture.

Questo bilancio negativo dimostra il sostanziale fallimento di quel che si è fatto e si è speso sin qui dal 2014 quando era stata istituita una “struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche”, denominata “Italia Sicura”, che raggruppa (o raggruppava? Certo non se ne parla più) ministeri, regioni e 3.600 enti sparsi sul territorio con lo scopo di attivare cantieri, quasi duemila, e finanziamenti, quasi quattro miliardi, solo in parte andati a buon fine.

Perché si è fatto poco e male? Anzitutto: non sono una risposta adeguata le sole opere di ingegneria strutturale e di difesa passiva – a questo erano destinati soldi e cantieri –, ma con tutta evidenza bisognava (e tanto più bisogna) intervenire con una gestione complessiva delle aree costiere e con i così detti piani di adattamento che consentano di rispondere in modo efficace all’evoluzione futura di un habitat così delicato.

  Ancora: vero è che undici regioni costiere (le altre tre sono latitanti), talune approssimativamente e altre invece in modo esemplare, hanno adottato strumenti di pianificazione estesi alla gestione e tutela del territorio costiero. Ma è vera anche la disorganizzazione e la mancanza di dati omogenei per cui, durante i lavori del Tavolo nazionale sull’erosione costiera (costituito nel 2016), sono emerse difficoltà di comparazione e di riconduzione in un quadro nazionale di dati in possesso delle diverse regioni, in alcuni casi anche per carenza di dati, che non hanno consentito di pervenire a stime omogenee del fenomeno erosivo a scala nazionale.

Come dire che sono sin qui fallite le idee-forza delle “Linee guida per la difesa della costa dai fenomeni di erosione e dagli effetti dei cambiamenti climatici, versione 2018” che dovevano “fornire indicazioni su come sia possibile procedere ad un percorso di allineamento, standardizzazione e completamento delle basi essenziali per potere arrivare gradualmente ad una condivisione delle informazioni e delle stime a livello nazionale pienamente attendibili e aggiornati su base regionale”.

Quante parole al vento e quante ammissioni di impotenza, proprio mentre domenica scorsa Repubblica annunciava allarmata che “si alza il mare: 20 centimetri in più sulle coste liguri”.