SCRITTORI CALABRESI per A LANTERNA GIUSY STAROPOLI CALAFATI

SCRITTORI CALABRESI per A LANTERNA GIUSY STAROPOLI CALAFATI

 lanterna25     

Per A LANTERNA

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI - Il nonno mi aveva insegnato che il Bambinello andava aspettato con la luce accesa. Serviva luce per accogliere il Bambino nel presepe. E quella della lanterna era l'unica luce vera, che conoscevano i paesi di Calabria. Sette notti di luce avrebbero condotto senza indugi alla notte santa. Si fosse spenta la luce, anche solo una notte, la malaluna ruffiana e indispettita, dicevano i più vecchi, apparirà in cielo come preludio di disgrazie e di sventura. E si viveva nell'attesa dubbra, avvento di una storia che di bocca in bocca passava, e che gli anziani, meticolosi e ligi, ripetevano a memoria.

Io avevo tanta paura. In quella luce di lanterna, riponevo le mie speranze di bambino; coloravo con le sfumature della fiammella i miei sogni e fantasticavo fissando l’inesattezza della fiamma stessa, che pareva seguitare i fiati e gli sfiati fedeli e pure agnostici dei venti natalizi.

La gioia dell'attesa e la felicità del Bambinello, si confondevano con l'inquieto piglio che la lanterna, per quanto inanimata nell'essere, ma vivificante nella luce, si sarebbe potuta assoggettare ai giochetti scanzonati del vento, e dunque spegnere. Ma v'era pure il tormento ossesso, che qualche d'uno, disgraziato nell'anima pure a Natale, la spegnesse per stizza, d'improvviso.

V'erano tanti riti tra i poveri come noi a Natale. La lanterna accesa, era quello più sacro e più santo. Si ripeteva in casa mia da sempre. In casa d'altri, tutti i Natali.

Sentivamo a distanza, gli aliti misteriosi della montagna che come arcani pensieri, penetravano l'aria di festa che le lanterne preparavano. Tante fiamme accese, diceva il nonno, fanno un gran fuoco. E un fuoco grande, serviva al Bambinello che arrivava al freddo e al gelo. Nudo. Senza panni e senza latte. Nel mistero d’una notte tersa.

Le lumiere venivano poste innanzi alle case, che come stuoli di pietra su pietra, se ne stavano a pila lungo il dorso ricurvo del paese. A turno, noi bambini, ci sedevamo accanto perché non scomparisse mai la fiamma. Nessuno la sciupasse.

Quell'anno, come tutti quelli passati, giunse puntuale il tempo delle feste. Ajumate lanterne, pareva dicesse. 

La fiammella fu accesa. Per la prima volta senza nonno Sebi che prima dell'estate era salito al cielo per una vecchiaia carogna e dispettosa. E si pativa per quella greve assenza.

Incominciai io la veglia alla luce. Poi a turno tutti i miei fratelli. Il nonno, diceva sempre alla mamma che era stata una brava moglie. Di figli ne aveva fatti un sacco e una sporta. E meglio abbondanza di carne che di soldi. E quella c’era.

Ogni notte, la lanterna minacciata dal vento, andava a spegnersi. Ma con gran botta di culo ci si accorgeva, e giù con le mani, che se ne stavano a scaldarsi sotto le ascelle, a riparare la fiamma.

Avanti vigilia, stette a guardiania mio fratello Santo. Il ninno, come lo chiamava mia madre.

Fissava la fiammella e ci giocava. Faceva tanto freddo quella notte. L'aria era carica di attesa, intirizziva la pelle. Il gelo cominciava la scesa per adorare il bambino. Ma non venne giorno, che mentre Santo fu gabbato dal sonno, quel disgraziato di Leuzzo, figlio di don Vito Allaro, spense la fiamma, calciando la lanterna con un piede.

Un dispetto!

Suo padre, voleva gli cedessimo il podere del nonno con tutta la chiesiola che v’era sopra.

Avevo visto Leuzzo avvicinarsi alla lanterna stizzoso, da dietro la finestra della mia stanza. - Figlio di cane - gridai.

Mia madre e mio padre per fortuna non sentirono. Corsi a prendere una brace tra la cenere. Qualche d’una resisteva ancora. Riaccesi la lanterna. Svegliai Santo. - Non dormire - gli dissi. - Veglia, veglia…, che ha d'arrivare il bambino. - Rinvenne. Trovò la lanterna accesa e si rincuorò. - Non me lo sarei perdonato - mi disse con voce sommessa.

- No, no. Ma tu veglia. Il Bambino sta per venire - e tornai a dormire.

Giorno della vigilia, io e Santo portammo tronchi di legna nella piazza, per il grande fuoco, come ci aveva ordinato nostro padre.

Leuzzo, venne anche lui , accompagnato da quei quattro disgraziati dei suoi amici. Vedendo Santo, si diresse verso di noi. - E ora che accade?- disse.

- Ma che vuoi? - fece Santo.

- Il sonno ti ha fregato e la tua lanterna s'è spenta. Non lo sai?... Sventure, mali, afflizioni e maledizioni vi coglieranno. Niente Bambino nel vostro presepe. Già – disse, – i poveri non fanno il presepe. Poveri morti di fame... - ridacchiando. - Niente Natale per voi. Niente fuoco e niente pane. Fame..., solo fame dei poveri. -

Santo non comprese. Stette per tirargli un pugno in faccia. -Non fare il suo gioco Santo. Avanti andiamo. Sarà Natale anche per noi. Non credergli. È un bugiardo. -

Tornando a casa, Santo si incupì. - Perché ha detto a quel modo? - mi chiese. - Vuole farci paura - gli dissi.

- Fidati, Santo. Il Bambinello verrà così come è sempre accaduto. -

Avevo tanta paura anch'io. Il nonno, pace all’anima sua, era stato sempre molto severo sulla luce della lanterna. – Guai – diceva, - guai. -

La vigilia contemplammo il grande fuoco acceso nella piazza, assieme agli altri. In tavola, come previsto, mia madre portò tredici cose. La gioia dello stare assieme abitava in noi. Mio padre, per la prima volta, ci fece mangiare anche il torrone. A mezzanotte come di consueto, venne il Bambinello per riempire il presepe e i cuori. Sembrava di vedere i pastori e le pastore, cerimoniare festosi. "Maria lavava. Giuseppe stendeva. Il piccolo piangeva dal freddo che aveva." Baciammo in fronte il Bambino come si soleva fare nelle chiese di Calabria.

Santo, per devotio, portò a lanterna, accesa, ai piedi del grande presepe. Leuzzo e suo padre, morti d'arraggia,si limitarono a guardare. Nessuno aveva saputo di quel vile gesto. Averci spento la lanterna, da codardi, la notte prima, non era importato neppure a Dio. Egli, mandava ancora una volta, un dolce Bambino,per dire a noi poveri che ci sono uomini ai quali c'è un organo che non è riuscito a montare. Lo stesso che mantiene viva la fiamma delle nostre lentarne. Il cuore.