Lo Stretto è stato sempre passaggio obbligato di Miti. “Omero al Faro” non poteva che rielaborarli e restituirli». Così Mimmo Rando parla della sua sorprendente opera prima, edita da Rubbettino nella collana Velvet. Un’uscita che ha subito convinto la critica e conquistato il pubblico, portando Rando tra i finalisti del Premio “Giuseppe Berto” 2016.
Lo scrittore siciliano (di Torre Faro, Messina) tesse un intreccio narrativo giocoso, a tratti surreale, visionario. L’Iliade, l’Odissea, ma pure incursioni nella Divina Commedia e, andando verso tempi più recenti, echi della grande letteratura siciliana: Pirandello, Sciascia, D’Arrigo. Su tutto il mito, ieri come oggi metafora del reale. E un linguaggio moderno, asciutto, aspro e dolce al tempo stesso, reso vivido dall’uso sapiente dei dialetti. Quasi protagonista a sé, capace di affascinare il lettore quanto la magia del racconto.
«Chi scrive ha sempre dentro di sé le tante letture fatte e condivise. Quelle che lo hanno appassionato e affascinato. E contaminato. Quasi tutto quello che scrivo è in ciò che ho letto. Io ho letto moltissimo. Sento che molte delle mie letture tornano nella scrittura. Letture di autori che hanno fatto la letteratura italiana e straniera. Dal plurilinguismo di Dante alle sperimentazioni di Gadda. Dal grottesco di Rabelais al realismo di Ruzante. Per non parlare poi dei surrealisti» dice Rando. Ci sono Omero, il cantastorie, Ulisse, pazzo d’amore per Nina, Polifemo, il macellaio geloso di Ulisse-Nessuno, Circe, la maga lussuriosa. E, ancora, una galleria di personaggi esilaranti come Pascaliufalignami, le galline con poteri divinatori della ’zza Maria, la scaltra Milia.
«La stesura di “Omero al Faro” è avvenuta nel tempo, mediante progressivi accumuli. Che erano la risultante anche di confronti con le mie esperienze di vita e con le intenzioni stesse dell’uso del testo. Questo confronto ha giovato a dare all’amalgama testuale un filo di percorso, e forse solo in questo senso si può rintracciare una filigrana di romanzo, per cui potrei accettare di dire che si tratta di un romanzo di formazione. Con questi scritti volevo fare un omaggio a mia zia Nina, la quale mi ha insegnato il ritmo e l’affabulo, e a Benedetta, che mi ha insegnato la meditazione».
Mimmo Rando, oltre a questo suo scrivere in perenne sperimentazione, si dedica alla pittura e al violino, rimandando attraverso l’arte l’essenza del Sud e delle sue mutazioni. Profondamente meridionale, rigetta però l’idea di una letteratura riferibile alla Sicilia. «Non credo che esista una letteratura siciliana. Non credo che gli autori siciliani, tali solo per anagrafe, abbiano mai avuto in mente di esprimere una letteratura siciliana. Pirandello, Verga, Sciascia, D’Arrigo, Consolo, Bufalino, Maraini scrivevano con lo sguardo rivolto altrove. Ho letto e amato gli autori appena citati. Aggiungerei i poeti della Scuola Poetica siciliana, uno dei quali inventò il sonetto. In più Lucio Piccolo, Cattafi, Quasimodo, Emilio Isgrò e altri. La letteratura più vicina al mio sentire, questo sì. Mi piace però ricordare pure due poeti calabresi a cui sono affezionato, Galeazzo di Tarsia e Lorenzo Calogero».
E la Sicilia del suo libro?, chiediamo. «In “Omero al Faro” si parla di una Sicilia, che forse esisteva nella mia fanciullezza, ma che ora purtroppo non c’è più. Con la progressiva omologazione di questi anni alcune caratteristiche anche ambientali della Sicilia sono andate perse. Sono rimasti solo la retorica e lo stereotipo. Comunque è vero: restiamo meridionali. E questo, tutto sommato, è buono? Non lo so. Non ho un concetto chiaro e soddisfacente della Sicilia e dei siciliani. Ho solo in mente una costruzione di fantasia».
“Omero al Faro” sarà presentato sabato 23 luglio alle 20.30, al Parco Horcynus Orca di Messina, nell’ambito dell’Horcynus Festival, con l’intervento dell’autore e la performance del cantastorie Fortunato Sindoni.