A Famigghia di Vincenzo Carrozza, recentemente pubblicato da bookabook – il crowdfunding del libro, è un romanzo di formazione, che, traendo alimento dalla personale esperienza dell’autore, nato a Locri, finito in carcere, poi medico a Stoccolma, New York, Torino e, oggi, pastore in Aspromonte, si chiede quanto l’effettiva libertà di ciascuno sia delimitata dal contesto familiare-sociale che lo forma. Quale sia lo scarto, la svolta che consente di diventare diversi senza negare o mantenendo la propria identità.
Ruggero, nato in Germania quando il padre è lì emigrato, cresce a «‘Ndrangheta City. È una città del Sud, che galleggia sulle sponde del mar Ionio. Una città gradevole, assolata, piena di oleandri fioriti che nascono spontanei anche nelle discariche abusive e negli scarichi delle fogne. Per il Mondo, la mia città è collocata in montagna, nel cuore dell’Aspromonte. Si pensa questo perché da ‘Ndrangheta City partono i servizi dei telegiornali e dei giornali, se capita l’ammazzatina di qualche criminale onorato. Gli omicidi succedono in città, qualcuno anche sulla spiaggia, ma i servizi dei bravi giornalisti mostrano sempre boschi e bunker di latitanti invece del mare, degli oleandri e delle palme.»
Ai comuni problemi delle altre città, ‘Ndrangheta City aggiunge «le famigghie di ‘ndrangheta. La criminalità con i controcazzi. In realtà indicarci come “criminalità organizzata” è un’esagerazione e un’abitudine. Infatti ogni famiglia tende a farsi gli affari propri. (…) ‘Ndrangheta City dà il nome a tutto il territorio circostante, la ‘Ndrangheta Community, dove vivono, a occhio e croce duecentocinquantamila persone. (…) Molti dicono che questo è uno degli agglomerati urbani a più alta densità della Calabria. Lo dicono gli esperti di criminalità, che Dio li protegga sempre. Io, però, studiando la questione e ragionando a mente fredda, non ho mai notato differenze sostanziali tra ‘Ndrangheta City e le altre città meridionali e nordiche della stessa dimensione. (…) ‘Ndrangheta City vanta quartieri diventati famosi grazie alla cronaca, perché centri criminali in cui si traffica di tutto. Questi sono: Platform Place, Sant Luis Square, African Place, Comino Place, Nosino, Gioia Bella Square di Giù e Gioia Bella Square di Su.»
Ognuno di questi quartieri è specializzato in un’attività malavitosa. «La mia Famigghia adesso ha influenza sul quartiere centrale della città. (…) Sotto la nostra influenza ricadono: il tribunale, il municipio, le sedi amministrative di tutti gli enti statali e le scuole principali, compresa l’università. Nella nostra zona d’influenza sono compresi anche l’ospedale civile e universitario.»
Ruggero impara presto le regole della Famigghia, l’obbligo di sottoporsi alla volontà del padre, il Padrino, una sorta di monarca, che ascolta gli altri familiari, ma poi decide da solo e per tutti, il legame con gli zii, zio Pietro detto l’Ottavo Re di Roma, zio Cosimo, ovvero Mezza Minchia e zio Pasquale, detto il Tubercolotico, i dieci comandamenti cui attenersi. Assiste ai riti di iniziazione e ad un omicidio. Con i suoi giovani amici Banana, Orso Yoghi e Mano Morta, forma un piccolo clan che ripercorre le azioni degli adulti.
Al liceo (il padre l’ha costretto a frequentare la scuola) l’amore per Alessandra, ragazza di buona famiglia, gli fa scoprire lo studio: amore e studio segnano un primo spartiacque tra di lui «e il mondo abitato, o non abitato che sia, da criminali e maschere di plastica». Sarebbe disponibile a cambiare vita, ma la prematura morte del padre lo riporta ai suoi doveri: «Analisi del mio futuro: ce l’ho nel culo! Sorelle da mantenere agli studi. Mia madre da non umiliare e far vivere dignitosamente. Operai da pagare. Un’impresa da far girare. Spese della villa a strafottere. Una Famigghia da portare avanti. Nemmeno una lira da parte. Signori, sono tornato! Sono dentro la Famigghia. In pratica incaprettato e buttato dentro il portabagagli di questa vita che viaggia a mille l’ora e non so dove mi scaraventerà.»
Saranno gli anni di carcere a fargli riprendere gli studi, a consentirgli di laurearsi in medicina e conoscere una donna, con cui affrontare il futuro, molto lontano non solo dalla Calabria ma dall’Italia: «Io non tornerò in braccio al male. Non tornerò a guardare le facce di chi ti usa per far crescere il suo ego e il male intorno a sé. Non scenderò più nell’arena dei morti viventi. Non entrerò neanche nell’altro mondo, quello che non ha il coraggio di accarezzare chi vuole abbandonare il male. Percorrerò la vita inesplorata di chi non ama il male e di chi non pensa che il contrario del male si chiami bene e saggezza.»
Non sarà un cammino facile: «In ogni ospedale, o in ogni luogo si è fatto invidia e cattiveria. Ogni volta mi ha riportato indietro con le sue ombre. Non hanno avuto importanza la bravura, lo studio, l’abilità delle mani, la forza del mio cuore. Importava quello che ero stato, non quello che ero diventato.» È costretto più volte a scappare, anche per proteggere i figli, per tenerli lontani dal male, per essere lui «l’ultimo della mia Famigghia. Ho ancora una croce da portare. Una croce sulla spalla sinistra che trascinerò, con tutto il suo peso, fino al termine del mio cammino.»
*Vincenzo Carrozza, A Famigghia, bookabook – il crowdfunding del libro, euro 13, 60