REGGIO. A proposito dell’imbroglio (via taglia e incolla) dei Gd del Pd

REGGIO. A proposito dell’imbroglio (via taglia e incolla) dei Gd del Pd

gd      Il giornale online Il Dispaccio ha beccato i giovani democratici del Pd che col taglia e incolla hanno spacciato un documento dei romagnoli di Imola per una propria proposta su Reggio.

I responsabili dell’operazione sono stati destituiti. La cosa era di per se truffaldina e inaccettabile. Averla poi condotta con una perizia da mediocri dilettanti allo sbaraglio (del resto, cosa pretendere dai virtuosi del taglia e incolla?) ha fatto uscire dalla grazia di dio anche gli esponenti del Pd e del suo movimento giovanile (mg).

Siamo di fronte a un caso o al segno di un degrado che, innescato dalla crisi della politica, si espande senza risparmiare nessuno?

La discussione è aperta perché il sospetto di essere di fronte a un decadimento generalizzato, accentuato dalle specificità reggine, non è infondato.

Sia chiaro, il taglia e incolla è pratica devastante che ha molti seguaci. La praticano molti giornalisti e altre categorie che hanno a che fare con la scrittura. Le relazioni, anche autorevolissime o universitarie, vengono digitate a pezzi su Google per scoprire da dove sono state copiate. I magistrati sono spesso accusati di fare taglia e incolla sulle informative, mentre i giudici vengono talvolta accusati di farlo sui provvedimenti dei magistrati.

Ma a proposito dei giovani (vecchietti) beccati dal Dispaccio bisogna pur dire che c’è stato un tempo, anche a Reggio e in Calabria, in cui i mg di tutti i partiti nessuno escluso, e più in generale le organizzazioni giovanili (specie cattoliche), erano serbatoi di grandi passioni disinteressate innestate su studio, ricerca, dibattiti, voglia di capire e di crescere. Certo, anche di settarismo, presunzione, visioni schematiche e manichee; sogni e utopie che qualche volta si sarebbero rivelati dolorosi e perfino pericolosi. I furbetti (c’erano anche allora) venivano intercettati e messi ai margini.

Chiedo scusa a tutti se utilizzo un mio ricordo personale. Ancora oggi alcuni miei amici mi prendono in giro ricordandomi quando da segretario provinciale di un forte mg restai inchiodato per tre giorni assieme ad altri ragazzi per varare un documento unitario con altre organizzazioni. Lo scontro fu tra chi sosteneva che la fase che vivevamo (con riferimento all’economia italiana e alla quesitone meridionale e calabrese) dovesse venire definita di “espansione monopolistica” e chi di “sviluppo capitalistico”.

Certo, una discussione allucinante. Ma dietro, a ripensarci, c’era una lettura attenta dei documenti del convegno sulle tendenze del capitalismo italiano al quale avevano partecipato i maggiori economisti italiani (non solo di sinistra), letture di classici e altri libri e saggi su cui consumavamo un bel po’ delle nostre notti (lo so, è meglio oggi), discussioni infinite tra noi ragazzi. Non ricordo come andò a finire, mi scontrai con un mio coetaneo, che già allora era più istruito e più colto di me, che dirigeva un altro mg di sinistra. Non eravamo speciali. Era la norma, anche se faccio fatica anch’io a ricordarmelo e a crederci. Norma ancor più diffusa per le generazioni precedenti alla mia e praticata anche da parecchie di quelle successive.

E’ un’operazione stucchevole (e anche un po’ cretina) contrapporre fasi storiche e generazioni diverse. Ma credo si possa dire che allora i giovani (di tutti i partiti) facevano politica con la presunzione e il sogno di cambiare il mondo mentre oggi sono troppi (non tutti, non tutti) quelli che scendono in campo in appoggio a piccoli notabili e sottopancia della politica e quelli che aspirano a costruirsi una “sistemazione”.

In fin dei conti fare il politico (o il giornalista) è sempre meglio di lavorare. (alva)