L’ANALISI. Salvini, e la (vera) posta in gioco

L’ANALISI. Salvini, e la (vera) posta in gioco
berlsal UNO. E’ stupefacente lo stupore che affiora dai titoli dei giornali e dagli interventi degli analisti sulle mosse del senatore Salvini. Viene il sospetto che si rifletta sulla politica partendo solo dalle battute dei talk show, efficaci perché studiate "a prescindere" dagli argomenti trattati. Eppure i fatti e le conseguenze del 4 marzo sono lì, inchiodati nella storia del paese, e potrebbero meglio illuminare quanto sta accadendo.

DUE. Il primo, fondamentale, dato rimosso perché non funzionale ai titoli dei media (chi ha vinto, chi ha perso; perché ha vinto lui, perché ha perso lui: la geniale diade di Funari) è che le elezioni non le ha vinte nessuno. Il paese, qui ed ora, viene gestito dai "migliori perdenti" (copyright Cassese). La formazione del governo Conte non ha né avrebbe potuto modificare la materialità del risultato elettorale che al di là di tutti i tentativi continua e continuerà a innescare crescente instabilità. E’, se serve un riassunto, la maledizione (dell’assenza) del ballottaggio. Nessuno potente della Repubblica del 4 marzo si sente garantito su ciò che è irrinunciabile per qualsiasi potere: la certezza e la durata del suo possesso. Salvini, Di Maio, Conte sono logorati dall’incertezza causata dalla progressiva instabilità. Non c’entrano il "Contratto", gli errori politici, l’inesperienza. Il dato è strutturale e, per loro, immodificabile: nessuno di loro ha vinto le elezioni e, quindi, nessuno ha la certezza di non essere sballato.

Le mosse di Salvini diventano comprensibili e lucide solo valutandole per quel che sono: il dispiegarsi di un progetto per conquistare un potere reale e pieno per la Lega e la sua parte politica, che è e continua ad essere il centro destra. Salvini vuole trasformare il "miglior perdente" del 4 marzo in "vincente". E’ questa la mission (anche se viene nascosto dalla Tv7 e dai 5S) affidata da Berlusconi a Salvini quando Berlusconi ha deciso il via libera alla formazione del governo Salvini/ Di Maio. Il governo M5S- Lega non è nato dalla rottura del centro destra ma per la sua salvaguardia grazie al passo di lato scelto e deciso dal Cavaliere (mentre Travaglio e la sua squadra raccontavano i dettagli dell’accordo tra Pd e Fi).

TRE. Il secondo dato rimosso, di cui solo Salvini sembra consapevole, è che l’emorragia del Pd si è fermata. Lo testimoniano tutti i rilevamenti successivi al 4 marzo. Per ora non sono previsti altri cedimenti Pd (dato da nascondere ai suoi dirigenti per impedire che si mettano al lavoro). Per il centro destra e Salvini, quindi, la possibilità di diventare maggioranza superando "l’incertezza del potere" passa obbligatoriamente dallo sfruttamento delle altre due aree rimaste: astensione e (soprattutto) M5S. Salvini deve saccheggiare i due serbatoi per trainare il centro destra verso una maggioranza certa nel Paese. Il governo Conte avrà vita fin quando centro destra, cioè Salvini e Berlusconi col supporto di FdI, non avranno la certezza della vittoria elettorale.

QUATTRO. La scelta fondamentale del ministro dell’Interno di accantonare i temi economici e sociali, nonostante la Lega dei "padroncini" e delle pmi, per privilegiare i temi identitari (Fontana e i gay, immigrati, zingari, armi per tutti ed esasperazione delle politiche securitarie) diventa comprensibile solo se si colloca il round finale in tempi non lunghissimi. La stessa scelta del Ministero dell’Interno, perseguita con determinazione fin da prima della formazione del governo, è parte di questo disegno. La strategia punta ad acciuffare i voti del M5S: quelli a suo tempo catturati da Grillo a Idv e quelli giustizialisti presi dal Pd e da Ingroia. Salvini ha già verificato, dopo il raid della sparatoria di Macerata contro gli immigrati, prima del 4 marzo, che per lui è questo il terreno migliore. Con l’identità pesca anche nell’astensione. "La Lega - scrivono i sociologi del Cattaneo (Il vicolo cieco, Il Mulino, maggio ’18) - ottiene risultati nettamente inferiori nei capoluoghi di regione, mostrando di avere maggiore insediamento nell’Italia più rurale e profonda". A Torino, Salvini ha 6 punti in meno della media regionale, a Milano addirittura 11, a Venezia sfiora i 10. La Lega in cinque anni ha quadruplicato i voti: dal 4% al 17. Ma i rilevamenti di questi giorni registrano in soli tre mesi un altro tendenziale raddoppio fino a superare i M5S. Queste analisi comprendono anche le fasce dell’astensione. Mentre gli studiosi del Cattaneo usano spesso la categoria del "traghettatore" per i 5S che consegnano a Salvini i voti prima strappati al Pd.

CINQUE. Salvini è razzista? Allo stesso modo in cui era comunista quando fondò la Lega comunista. E con la stessa intensità con cui fu Bossiano e Maroniano. Ma a giudicare dalle scelte della sua vita politica, collocazione internazionale compresa, sembra interessato più che alle ideologie alle procedure per la conquista del potere. Se quelle procedure gli procurano insulti di razzismo e/ o di disumanità lui le radicalizza per raccogliere più insulti quindi più voti. Questa valutazione non allenta le tensioni. Sansonetti ha ragione quando sostiene sul Dubbio che, al di là del giudizio su Salvini "cavalcare la parte più reazionaria del populismo profondo … è una scelta sbagliata e molto molto pericolosa. Che può portare a una vera e propria frana dei diritti, anche dei diritti più elementari. E trasformare l’Italia in un luogo dove vince l’intolleranza e il giustizialismo! ".
Nessuno degli atti che fin qui si sono registrati dal 4 marzo diventa comprensibile se non si tiene conto della durezza dello scontro in corso. Solo chiudendo gli occhi (e il cervello) si può immaginare che nel paese non si stia consumando la continuazione della campagna elettorale in cui l’Italia è immersa da lungo tempo.