La dolorosa lezione del Coronavirus a tutti i meridionali

La dolorosa lezione del Coronavirus a tutti i meridionali

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Nella storia le grandi tragedie hanno sempre svolto una doppia funzione: una aggregante, di avvicinamento cioè tra le persone sottoposte allo stesso dramma collettivo, l’altra disgregante. Mi riferisco, cioè, al diverso impatto che gli stessi eventi (guerre, malattie, epidemie, terremoti, alluvioni, etc,) possono causare a seconda dello stato di salute delle persone, delle età, delle condizioni economiche, della collocazione territoriale, dell’appartenenza a differenti nazioni o continenti. Nelle tragedie ci scopriamo più solidali e al tempo stesso percepiamo più distintamente la nostra fragilità collettiva, perché se la solidarietà è una virtù soggettiva, la fragilità ha a che fare molto di più con le condizioni oggettive dei territori in cui abitiamo. Le strutture pubbliche, le infrastrutture sociali servono, infatti, a sopperire alla fragilità individuale. Come a dire: siamo tutti uguali di fronte alle sofferenze, ma la sofferenza può essere maggiore o minore, la tutela può essere più o meno adeguata a seconda degli interventi messi in campo da chi vi deve (politicamente e amministrativamente) provvedere.

Noi meridionali in queste settimane abbiamo capito bene alcune cose: che le nostre strutture sanitarie non sono all’altezza di questa improvvisa emergenza di massa (al di là delle splendide eccezioni, come il Cotugno in questo momento); che il nostro tessuto economico è così fragile che non potrebbe reggere a una chiusura lunga delle attività senza imprevedibili conseguenze sociali;  che  una parte consistente della nostra economia è sommersa, è in nero, e dunque chi vi opera non può neanche essere ristorato dalle misure decise dal governo. La nostra è una fragilità strutturale, che viene fuori ancora più drammaticamente in un frangente storico come questo.

Per quanto riguarda la prima fragilità, quella del sistema sanitario meridionale, non c’è molto da aggiungere a quello che da anni è ampiamente noto:  il regionalismo ci ha resi italiani diversi di fronte alle necessità di cure specialistiche. E la causa non è stata tanto la scelta di favorire la sanità privata (questione al centro del dibattito su alcune disfunzioni che anche al Nord il coronavirus ha evidenziato) ma del predominio totale della clientela politica nelle scelte sanitarie. Una clientela e un affarismo che da noi hanno avuto un impatto più devastante. E alcuni governatori di oggi e di ieri, al posto di fare la corsa a chi si mostra più duro contro il virus, se avessero usato la stessa durezza contro l’infezione clientelare, ci avrebbero consentito di stare un poco più tranquilli. Quest’anno le regioni italiane arrivano a 50 anni di esistenza. Noi meridionali non abbiamo niente da festeggiare, ammesso che ce ne fossero le possibilità. E quando finirà questa emergenza dovremo prendere di petto la questione: non possiamo più essere diversi di fronte allo stesso bisogno di cure specialistiche e di attrezzature adeguate.

La seconda fragilità ha a che fare con il fatto che il reddito di molte realtà meridionali è composto dall’economia “non osservata”, cioè sommersa, in nero, illegale e in parte criminale. E Napoli e il suo hinterland ne sono un esempio eclatante. Nel 2017 il valore di questa economia non osservata era in tutt’Italia di 210 miliardi, cioè il 12, 4% del Pil. I lavoratori irregolari ammontavano a 3 milioni e 700 mila. In Germania è la metà (6,8%) e in Francia l’8,3%. Ma nel Sud d’Italia si arriva quasi al 30% del Pil. Cioè una fetta consistente del sistema economico e produttivo meridionale.

Guai però a confondere l’economia sommersa con l’economia criminale: sono entrambe fuori dalle regole, ma non sono la stessa cosa. L’economia criminale incide solo per una parte all’interno dell’economia sommersa.  In Italia sono fuorilegge molte più aziende, attività e lavoratori che criminali, anche se lo sono in maniera del tutto diversa. Questa particolare economia sottrae 37 miliardi di euro allo Stato in tasse e contributi previdenziali e assicurativi. Ma mentre nel Centro Nord per la maggior parte l’economia sommersa (in nero, informale) è un mezzo per evadere le tasse, per ridurre i salari ai lavoratori, insomma per competere fuori dalle regole,  nel Sud l’economia informale è legata per lo più alla sopravvivenza e non alla competizione di mercato. C’è una fetta larga di economia nel meridione, e a Napoli in particolare, che sfida le leggi dello Stato (e anche quelle di mercato) per produrre reddito. E non riuscirebbe a farlo emergendo e rimettendosi dentro le regole. Quindi al Sud l’economia informale ha a che fare più con la precarietà che con una forma impropria di competizione. Nelle aree più sviluppate si infrangono le regole di mercato e le leggi dello Stato per guadagnare di più o per sottrarre i profitti alla tassazione, nel Sud per guadagnare qualcosa. Oggi il coronavirus ha messo in ginocchio l’economia italiana e alcuni dei settori più dinamici del Made in Italy, e il governo ha varato provvedimenti mirati per sostenere le attività più colpite, ma è evidente che per alleviare l’economia sommersa non si può fare niente, e giustamente. Ma si reggerà socialmente una situazione di questo tipo nelle prossime settimane?

Siamo di fronte a un problema irrisolvibile, un serpente che si morde la coda. L’economia sommersa non la si può giustificare e non la si può sostenere, ma senza di essa una parte del reddito meridionale salterebbe. Ma perché ci deve essere sempre questa alternativa tra due possibilità e mai una terza? Cioè, perché dobbiamo scegliere tra economia sommersa o niente; non ci potrebbe essere una terza soluzione, quella di far vivere milioni di persone di un lavoro dignitoso, senza precarietà e nella legge? Certo oggi qualcuno dovrebbe riflettere sul reddito di cittadinanza; senza di esso oggi ci sarebbe la disperazione per migliaia e migliaia di famiglie, e questo dato non lo cambia qualche imbroglio e abuso, comuni a tutte le forme di sostegno pubblico alla povertà. Il Sud si ritrova di fronte alla tragedia del coronavirus senza strutture sanitarie adeguate e senza un sostegno a una parte della sua economia perché fuori dalle regole e dalle leggi. Un amaro disvelamento delle nostre condizioni sanitarie ed economiche.