IL REPORTAGE. Messina, la rivoluzione scalza finisce nelle sabbie mobili

IL REPORTAGE. Messina, la rivoluzione scalza finisce nelle sabbie mobili

R Accorinti      di  ENRICO FIERRO* - La rivoluzione è bella quando dura poco, e a Messina è durata già troppo. E’ la rivoluzione del sindaco scalzo, quello senza cravatta, che celebra il 4 novembre in maglietta e con una bandiera della Pace che fa scappare inorridito il Comandante dei Carabinieri, la rivoluzione di Renato Accorinti.

La sua popolarità è calata del 60%, scrive su “Centonove”, settimanale molto seguito in città, l’editorialista Enzo Basso. Non piacciono le “stramberie” del professore, una “controfigura” nella mani di “una borghesia accademica e saccente”, “buona a saltare sul cippo della Vara o a fasciare l’altro cippo, quello del 4 novembre con la sciarpa colorata Peace”. Attacchi, e una campagna durissima esplosa sui social network dopo l’approvazione della Tares, la tassa sui rifiuti imposta dal governo per risanare i bilanci dei Comuni. Oggi la “città stagno” si ribella. Scendono in piazza commercianti, artigiani, avvocati, disoccupati e pensionati, tutti contro il balzello sulla “munnizza” e contro Renato il sindaco.

La vecchia politica sta a guardare e si frega le mani in attesa della rivincita. I caimani dell’eterno sistema di potere e di affari che da sempre domina in città aspettano “l’ora x”: la caduta del sindaco “strambo” e dei suoi insopportabili professori, accademici strappati alle università e ai centri di ricerca, uomini e donne senza partito promossi assessori. Tutti con l’idea di “fare la rivoluzione”, che a Messina non significa conquistare il Palazzo d’Inverno, né far abbeverare i cavalli dei cosacchi in qualche fontana, “ma solo portare un pizzico di normalità europea in una città ridotta allo stremo”, commenta Guido Signorino, economista e vicesindaco.

Le ultime due amministrazioni, quelle dei sindaci dall’eterno sorriso, Francantonio Genovese, Pd, (rampollo di una famiglia Dc che ha avuto senatori e ministri nel suo albero genealogico), e di Giuseppe Buzzanca, dietologo e berlusconiano, hanno prodotto un buco nelle casse di Palazzo Zanca di almeno 300 milioni. Prendete i rifiuti, qui la differenziata è a zero, ultimo posto in Italia, tutto si butta in discarica. E con costi enormi: 43milioni e 800mila euro la cifra prevista nel piano finanziario 2013, 3 milioni per il trasporto della munnizza, 10 per lo smaltimento, per non parlare dei mezzi fuori uso, dei cassonetti ridotti a brandelli e di campagne per promuovere una differenziata fantasma costate centinaia di migliaia di euro.

Fioriscono i comitati “No Tares”, scendono in campo le associazioni di categoria, Renato il sindaco si difende agitando il rischio del dissesto finanziario. “Se non entrano quei soldi”, dice il vicesindaco Signorino, “sarà il default e allora rischieranno tutti i settori della città”.

Un bilancio disastrato, una macchina comunale da rimettere in moto, la necessità di scegliere la via del risanamento anche con provvedimenti impopolari. Uno tsunami. Intanto i veri padroni della città hanno fatto il miracolo: sono ridiventati vergini, immacolati, la gente ha di colpo dimenticato anni di sprechi e di clientele. Francantonio Genovese per il momento non parla, e tace anche Giuseppe Buzzanca. La fede politica li divide, lo scandalo dei fondi della formazione professionali li unisce. Genovese è indagato insieme a suo cognato Franco Rinaldi, sua moglie, insieme alla consorte di Buzzanca, è sotto processo. Così andavano le cose a Messina, questo era ed è il sistema di potere nella città dello Stretto.

“Ma cosa dice? Francantonio quando era sindaco veniva qui alle sette del mattino e ascoltava tutti”. Emilia Barrile, Pd, è presidente del Consiglio comunale. “La verità è che Renato non era pronto per fare il sindaco, fa sempre gli stessi discorsi, le solite omelie e spesso dimentica di rappresentare una istituzione importante. Ha la città contro, fosse per me gli staccherei la spina subito”. Il Pd, che alle elezioni non ha vinto al primo turno per soli 59 voti, scalpita. In consiglio comunale il sindaco ha appena 4 voti certi su 40. “Aspettiamo – chiarisce l’esponente del Pd –, a fine gennaio il Tar dovrà discutere due ricorsi elettorali, poi si vedrà. Se si va al voto vinciamo noi, altrimenti lo sfiduciamo”.

La partita a Messina è rischiosa, ma non agita Accorinti. “Sono entrato in Comune scalzo, sono pronto ad andar via in punta di piedi”, ci dice ricevendoci nel suo studio con le scrivanie antiche e maestose e i manifesti pacifisti colorati. “Questa città per la prima volta ha una giunta e un sindaco senza padroni, nessuno di noi deve rispondere al sistema d’affari, alla ‘ndrangheta e alla massoneria. Quando siamo arrivati a Messina circolavano 12 autobus e quattro tram, l’azienda trasporti era allo sfascio, ora abbiamo messo su strada 52 bus e 8 tram. Per i rifiuti abbiamo ottenuto 20 milioni di euro dalla Regione per costruire impianti di biostabilizzazione. E’ poco, è tanto? Giudicheranno gli elettori. Forse quello che spaventa è la nostra autonomia, il fatto che finalmente si parla di una flotta comunale per attraversare lo Stretto. Stiamo mettendo in discussione antichi monopoli”. La rivoluzione continua? Forse.

*inviato del Fatto Quotidiano. Questo articolo viene pubblicato con l’autorizzazione dell’autore