L'ANALISI. La lunga fatica per avvicinare Pd e Cinquestelle

L'ANALISI. La lunga fatica per avvicinare Pd e Cinquestelle
Nelle elezioni del 2013 il Pd era stato uno dei principali bersagli delle invettive dei Cinquestelle e considerato, allo stesso modo di Berlusconi, una delle cause dei disastri del Paese. L’odio politico era ampiamente ricambiato dal gruppo dirigente del Pd che riteneva i Cinquestelle un’espressione patologica del populismo e il principale nemico da battere. Si avviava in quel periodo la definitiva trasformazione degli eredi del Pci da forza antisistema a fattore di tenuta del sistema fino a identificarsi totalmente con esso e a maturare un’avversione pregiudiziale per tutti i portatori di istanze di radicale cambiamento. Nel partito in cui erano confluiti gli eredi di Berlinguer cominciava a maturare una sottile diffidenza per l’etica in politica e verso coloro che ricordavano a un partito di sinistra la centralità delle disuguaglianze sociali.  Ciò comportava l’assoluta incapacità di leggere le istanze positive che pur si manifestavano sotto la scorza di una avversione scomposta e irriverente verso il sistema politico nel suo insieme, di cui il Pd diventava la più dileggiata aristocrazia.

Nel 2024 il governo di una regione italiana è stato conquistato dall’alleanza tra i Cinquestelle e il Pd, riaprendo improvvisamente un orizzonte politico che appariva chiuso e impraticabile. Il superamento della contrapposizione frontale degli anni precedenti sembra ora appartenere al passato. L’assoluta compatibilità fra le due forze politiche è stata dimostrata, al di là di quanto avverrà domenica in Abruzzo. Le idee e le forze sparse dei progressisti tornano a ricomporsi e ad essere credibili e competitive per il governo del Paese, facendo invecchiare tutte le ipotesi precedenti che lo escludevano categoricamente. Certo, niente è più smentibile delle previsioni politiche in questi tempi incerti e gli elettori di sinistra sono sicuramente i massimi esperti in delusioni, ma da oggi esiste nei fatti la possibilità di una alternativa alla destra meloniana e salviniana.

C’è stata indubbiamente una sottovalutazione di Elly Schlein e delle motivazioni profonde che erano alla base della sua elezione alla guida del Pd. È lei oggi la novità più significativa all’interno della sinistra italiana. E chi è ancora fermo a coltivare una diffidenza rancorosa verso i Cinquestelle, dovrebbe prendere atto dei profondi cambiamenti intervenuti anche in quel mondo grazie alle novità introdotte dalla leadership di Giuseppe Conte e dall’attuale gruppo dirigente di quel movimento, che insieme hanno filtrato la rabbia sociale e la critica antisistema rendendoli spendibili in un fronte progressista che aspira alla guida di un Paese occidentale. Anche in quel movimento il tempo ha dato modo di selezionare alcuni leader promettenti (come, appunto, Alessandra Todde) dopo l’abbandono della idea leninista che chiunque può guidare lo Stato, trascurando il valore dele qualità personali, del talento e delle competenze per coloro che rivendicano un rinnovamento radicale della politica italiana.

Diceva Enzo Biagi che i partiti debbono somigliare ai nomi che portano e alle cose che i loro dirigenti dicono di voler realizzare. La crisi del Pd di questi ultimi anni è un caso paradigmatico di un partito progressista che aveva trasformato il governo da mezzo per realizzare fini a fine ultimo della propria identità. Che programma aveva il Pd? Governare. Per fare cosa? Governare. A favore di chi? Di chi gli permetteva di restare al governo anche quando il responso elettorale era stato negativo. Il governismo comporta qualche spiacevole esito, che cioè i ras del voto locale diventano gli azionisti di maggioranza del partito che lo pratica, trasformandolo in tante satrapie che tengono in scacco il gruppo dirigente nazionale, obbligandolo a giustificarne comportamenti disinvolti sul piano morale, ad assecondarne le aspirazioni a restare in eterno ai loro posti di comando (o a metterci addirittura i loro figli e parenti), a praticare il silenzio di fronte alle più gravi offese, alle volgarità e al turpiloquio di alcuni dei suoi rastrellatori di tessere e clientele. All’interno del Pd si è formato il PDLI, il partito del libero insulto, in cui ci si sente potenti solo provando ad umiliare gli avversari, interni ed esterni. A volte nei partiti succede che la cecità politica diventi contagiosa e si diffonda in quasi tutti i dirigenti, anche nei tanti in buona fede, impedendo che si accorgano di cose evidentissime che accadono attorno.

Per fortuna, il Pd ha ancora un elettorato e degli iscritti che non hanno smarrito gli antichi valori e quando hanno la possibilità di farli valere riescono a determinare cose inaspettate, come l’elezione di Elly Schlein, cioè di dirigenti che hanno il compito di mettere gli occhiali al mondo che rappresentano per consentirgli di vedere quello che non si vuole più vedere e di fare quello che andava fatto da tempo. Ricordando a tutti che la radicalità non ha niente a che fare con la minorità, come ha sempre ripetuto Franco Cassano.

L’Italia è un Paese in cui la radicalità dei propri convincimenti e la coerenza nel volerli realizzare sembrano difetti insopportabili. Annacquare, depotenziare, transigere sembrano “virtù” irrinunciabili. Perciò ci auguriamo che possa fare lunga strada la dolce radicalità della segretaria del Pd e la sua capacità di aggregare e federare. Perché vale sempre il vecchio detto che i progressisti sono pericolosi non quando chiedono incisive trasformazioni economiche e civili, ma solo quando vi rinunciano per presunzione di
autosufficienza.

*già pubblicato su Repubblica.