
Cessato il lockdown si diffonde un malessere, definito dagli psicologi disturbo post traumatico da stress, insieme a chiusura, depressione, rabbia. Durante la quarantena, molti si sono rivolti ai servizi gratuiti online, mentre paradossalmente si registrava una “stabilizzazione” di chi aveva un disturbo importante, che si sentiva come protetto dai suoi fantasmi interiori. Si parla meno del sentire di oggi, confidiamo che ci si abituerà, cessata l’urgenza e la gratuità del servizio, a gestire le difficoltà da soli. Ma ad un normale osservatore non sfugge che siamo in una fase, per alcuni, delicata, quella dell'accettazione di una vita che non è più quella di prima.
Questo maledetto virus ha scavato un solco che non è facile da colmare. Tra noi e gli altri. Gli scienziati non sono stati d'aiuto. Gli infettivologi, i virologi e tutto il carrozzone mediatico a 2000 euro a trasmissione, in cui non c'era uno che, non solo non dicesse la stessa cosa dell'altro, ma anche di sé stesso, sta sbaraccando, lasciandoci orfani, disorientati e incerti in un caos di contraddizioni. Nessuno ce lo dice, lo stiamo scoprendo da soli, sulla nostra pelle, che portiamo i postumi di una malattia subdola e maligna, dalla prognosi riservata. Ce la giochiamo in solitudine. Dipenderà da una serie di fattori che nemmeno noi sappiamo quali siano quelli giusti.
Si ripeteva, urlandolo dai balconi, "andrà tutto bene", postavamo sui social poesie bellissime sul momento magico in cui saremmo scesi in strada ad abbracciare l'altro. Come alla fine della guerra. Peccato che il nemico è sempre in agguato e questa presenza invisibile ha scavato dentro, facendo uno sporco gioco con la nostra capacità di resilienza.
É la divisione dentro e fuori di noi.
Avevamo una grandissima opportunità, quella di fare verità. Di accogliere quello che siamo, ciò che non ci piace di noi stessi, integrarlo, fare pace con noi ed il prossimo, accettare la vita anche così, diminuita, ferita, dissestata. Chi non ha raggiunto e fatica a conquistare questa consapevolezza, é condannato a convivere con la paura e morire lentamente ogni giorno che passa.
Il mondo non è diventato migliore. Gli psicopatici sono peggiorati e governano potenze, aizzando l'odio e la discriminazione. Il dissesto economico è pesante e provoca rigurgiti rabbiosi cavalcati da pericolosi populisti.
Non sarà facile il tempo che viene. Non andrà tutto bene.
Se lo sguardo si restringe alla piccola realtà quotidiana, scorgiamo in essa, plasticamente racchiusa, la difficoltà nella relazione e nel riconoscimento del limite. Quell'inferno sartriano, quanto mai attuale, é la persona che incontriamo, che respira la nostra stessa aria, che ci sfiora. L’altro ci mette a nudo, mette a nudo la nostra paura e il desiderio irrisolto e impotente di fidarci. Così tutte le categorie che faticosamente avevamo costruito evaporano. Restano le ferite che già c'erano, non riconosciute, evitate, che si sono alimentate nel pozzo profondo della pandemia, senza possibilità di redenzione, di pacificazione, di perdono, di elaborazione, ed ora escono allo scoperto, chiedendo il conto. Sono i postumi della cattività, che non é solo l' essere stati chiusi, ma essersi scoperti incattiviti, intolleranti, sospettosi e risentiti.
Avviene dappertutto, sui mezzi pubblici, nei negozi, finanche in chiesa, dovunque l'altro faccia uso improprio della mascherina. Il che non significa soltanto non usarla dove si dovrebbe, ma essere redarguiti anche se ci si trova a 2 metri di distanza all'aperto. Purtroppo non esiste un termometro per misurare la tolleranza e il buon senso. Non ci hanno dato certezze, così le costruiamo da soli a seconda delle fragilità o delle incoscienze, di rado con giusta moderazione, dunque c' è chi guida da solo in macchina con guanti e mascherina e chi si immerge nella movida, perché tutto è finito.
Cosa potrà aiutarci? Forse solo piccoli gesti quotidiani di equilibrata resilienza e di consapevolezza che l'altro che ci urla contro è una parte di noi che conosciamo bene, che cerchiamo di addomesticare, attimo dopo attimo, nei passi nuovi che con incertezza massima e precarietà acrobatica, stiamo inventando in questa vita altra, fatta di abissi su cui desideriamo saltare. Ed ogni volta è una sfida.