Gli indici di natalità, meglio: di non natalità, italiani fanno ormai paura: tendiamo ad estinguerci. Magari, è giusto così – abbiamo esaurito il senso storico della nostra presenza e cediamo il posto a popolazioni non italiche”. Ma come e perché siamo arrivati a questo punto?
1.Perché la rivoluzione femminile, la maggiore dell’ultimo mezzo secolo, è stata parziale e limitata In questi cinquanta anni, le donne sono entrate in massa nella vita sociale e, in gran parte, anche se non abbastanza in quella lavorativa senza che sia stata, nello stesso tempo, una sensibile modifica del sistema lavoro. Questo ha penalizzato la maternità sottoposta ai vincoli di un inserimento lavorativo pensato per soli uomini e caricata di pesi (pratici e psicologici) che le donne devono sostenere in gran parte da sole, senza sostegno pubblico né di famiglia allargata (poiché il mondo di nonne, zie, vicine di casa di è andato restringendo di parecchio).
2.Perché la maternità è stata sempre più vista non come fatto di rilievo sociale – da sostenere con adeguati interventi politico-economici – ma come mera scelta soggettiva. Peraltro ben poco socialmente stimata, come tutti i compiti di cura visti come “inferiori” (lo stesso scarso interesse verso la scuola dipende in buona parte dall’associarla a compiti di “cura”: se fosse stata vista come “investimento produttivo”, avrebbe avuto altre attenzioni).
3.Perché si è affermato il mito romantico e “romanzesco” della “coppia” (che, peraltro, non sempre regge alla prova della quotidianità e della “realizzazione”, più o meno sincrona, dell’uno e dell’altro) di contro all’idea di “famiglia”, e, quindi, di un progetto di vita comprendente, a priori, i figli: con la coppia che si riconosce(va) come “sposo” e “sposa” o “marito” e “moglie”, ma anche e, nel tempo soprattutto, come “madre” e “padre”: “genitori di”.
4.Perché siamo, da tempo, un paese senza prospettive, senza speranze. Che protegge quelli che vogliono andare in pensione prima e favorisce i sussidi più che il lavoro per i giovani. Perché non riusciamo a guardare a domani, figuriamoci a tra venti o cinquanta, anni. Abbiamo perso il futuro: la voglia di arrivarci, di costruirlo. Una “vecchiaia” del sentimento accentuata dal covid 19, che ha prodotto un ristringimento di prospettive potenzialmente asfissiante.
Il risultato di tutto ciò è un depauperamento del presente e un pericolo per il futuro del Paese (ma, quando ero giovane, gli “esperti” dicevano che dovevano diminuire, diminuire, diminuire). E certifica anche che le donne hanno – voluto? dovuto? – tagliare una parte non piccola di se stesse per sedersi al tavolo della modernità.
Le donne devono essere madri se no non sono donne? Certo che no. Ma noi siamo caduti nell’estremo opposto: che le donne, per essere, non devono essere madri. Contrariamente a quello che alcuni stancamente sostengono, da parecchi anni, la nostra koiné culturale mette tra i doveri fondanti l’essere donne studiare, lavorare, essere autonome (tutte cose assolutamente giuste), essere magre, curate, ben truccate, seducenti (cose opinabili), più varie ed eventuali, ma non certo l’essere madri: cosa che viene, di fatto, sconsigliata/ostacolata/impossibilitata in molti modi.
Non so se le donne hanno avuto, in altre epoche storiche, tanti doveri come nella nostra (fatica, sì, doppia, tripla, quadrupla: ma schiacciamento psicologico, probabilmente no). A riprendersi la libertà di avere figli, di fatica ne farebbero certo di più e di ansie, dolori e problemi ne aggiungerebbero non pochi, ma si ritroverebbero con una vita moltiplicata.
NB: Ho parlato di donne, sapendo che un figlio è figlio di una madre e di un padre: frutto di una scelta e di un desiderio comune. Un padre può diventare tale anche dopo la nascita di un bambino. Ma un bambino non viene al mondo se non è lungamente sognato dalla madre.